C’è stato un tempo, e io lo ricordo perché purtroppo c’ero, in cui intorno ai 14 anni si diventava praticamente adulti e si doveva fare un grande scelta: studio o lavoro. In entrambi i casi il percorso prevedeva un futuro analogo dal punto di vista concettuale.
Diventare finanziariamente indipendenti, magari farsi una famiglia, eventualmente accendere un mutuo ma soprattutto vivere da li in poi “felici e contenti”.
“Felici e contenti” ovviamente è una frase molto generica e che si presta alle interpretazioni ma ad ogni modo era questo ciò che veniva proposto ed accettato in massa: accontentarsi, farsi piacere la propria vita, non mettere in discussione la “fatica” del lavoro né tantomeno farsi venire strane idee di significato e realizzazione nel fare il proprio lavoro.
Chi non si adeguava a questo paradigma, e in realtà molte più persone di quanto si creda, veniva incluso nella schiera dei ribelli, punk, aspiranti rockstar, pigri o buoni a nulla. Alcuni finivano nelle copertine dei giornali come esempi celebri di fuoriclasse e fuori dalle regole, moltissimi ai margini della società, altri ancora tornavano indietro, “mettevano la testa a posto” e ricominciavano da quanto era stato consigliato: rendersi finanziariamente indipendenti, formare una famiglia, accendere un mutuo…
Oggi, ma in realtà da ormai un bel pezzo, tutto questo viene raccontato come un ricordo di un capitalismo fallimentare, tutto orientato al profitto e al lavoro fine a sé stesso, che non lascia scampo e ci costringe vite tristi e lineari come criceti nella ruota.
Il mito di Sisifo, condannato dal padre Zeus, a spingere un masso in salita sul monte che poi rotolerà a valle e ancora e ancora e ancora per l’eternità, è uno dei modi con cui si è negli ultimi anni cercato di dipingere il triste paradosso del paradigma produttivo del dopoguerra.

Denigrare il vecchio modello, specie da chi ha da vendere qualcosa, è una moda che vediamo percolare da ogni post e comunicazione.
“Perché sprecare la vita con obiettivi di lungo termine quando la tua ostrica è qui a portata di mano?”.
“Domani si vedrà”: provare a comprendere la Yolo Economy
Il fenomeno “YOLO”, “You only live once”, “Si vive una volta sola” bussa forte e viene cavalcato subito da marketing manager che già hanno fatto lo stesso con temi come la sostenibilità e la gender equality.
Cosa c’è di meglio per spingere i consumi di una filosofia di vita basata sul tutto subito, ora, poi…per il futuro qualche santo provvederà e poi chi ha detto che tu ci sia ancora?
In base ai momenti storici e alle idee dalle quali siamo contaminati, re-interpretiamo concetti e paradigmi nel tentativo di spremere il meglio dalla nostra esistenza e cercare la verità ultima.
Lo YOLO arriva per certo con la pandemia e l’accelerazione tecnologica che poi intacca la visione sociale, politica ed esistenziale.
Ma liquidare il fenomeno “YOLO” solo come una stramba idea adolescenziale, roba da millennial o di poco conto, è tanto sbagliato quanto ingenuo.
Un mondo che ha attraversato una pandemia, e che ancora lotta per capire come e quando ne verrà fuori, ha sicuramente qualcosa di nuovo da raccontare.
E in molti dovremmo almeno provare a capirne di più.
La Yolo Economy in breve

“Qualcosa di strano sta accadendo ai lavoratori del nuovo millennio. Dopo un anno trascorso sui loro MacBook, sopportando riunioni Zoom continuative, stanno decidendo di cambiare e rischiare tutto.”
Kevin Roose
Iniziava così l’articolo di Kevin Roose, esperto d’innovazione, che in un pezzo apparso sul New York Times introduceva uno dei cambiamenti più impattanti ai quali assistiamo in questo mondo ancora alle prese con la pandemia: la Yolo Economy.
Il termine riprende una canzone divenuta virale a partire dal 2011 grazie del rapper canadese Drake: «You Only Live Once», ossia «Si vive solo una volta».
È qualcosa che vede protagonisti soprattutto i millennial, ma non solo. Anzi, forse per la prima volta nella storia, più generazioni si ritrovano accomunate da nuovi bisogni e desideri.
Da un primo sguardo è facile comprendere la nuova direzione: le persone stanno iniziando a ripensare le proprie priorità, anche e soprattutto alla luce di una vulnerabilità umana sperimentata con la pandemia, e mettere in discussione il concetto tradizionale del lavoro.
Non a caso si parla in maniera quasi intercambiabile, ma sicuramente connessa, tanto di Yolo quanto di “Great Resignation”, fenomeno noto anche come “Big Quit” , con cui si raccontano le dimissioni di massa registratesi dalla primavera del 2021 ad oggi, principalmente negli Stati Uniti.
Un sondaggio Microsoft ha rilevato che oltre il 40% dei lavoratori a livello globale ha preso in considerazione l’idea di lasciare il proprio lavoro.

Ma anche in italia, secondo il Ministero del Lavoro, nel secondo trimestre di quest’anno si sono verificate 484.000 dimissioni volontarie che hanno fatto segnare un aumento dell’85 % rispetto al 2020.
Chi fa parte della Yolo Economy, chi vuole farne parte, chi ci sta pensando e cosa vuole
Detto che la Yolo Economy, non riguarda solo i millennial e le nuove generazioni, possiamo comunque provare a abbozzare due grandi categorie di persone che gravitano intorno al fenomeno:
- Chi un lavoro vecchio stile ce l’ha e sta pensando di abbandonarlo o lo ha già fatto.
- Chi un lavoro non ce l’ha o si trova all’inizio del percorso professionale o sta lavorando da autonomi e sta in questo momento mettendo in discussione il paradigma tradizionale.
Chi un lavoro ce l’ha… e lo sta lasciando
Per quanto riguarda la prima categoria, chi un lavoro ce l’ha ma inizia a sentirsi insoddisfatto, ci ritroviamo all’interno soprattutto di quella “Great Resignation” che oggi si attesta sia come fenomeno sociale e come problema urgente per le imprese, sempre più in difficoltà a trattenere persone e talenti. Non si tratta, ripeto, solo di nuove generazioni, e i dati indicano che il 2021 è stato l’anno in cui il fenomeno ha davvero preso forza, e il 2022 quello in cui si vedranno con più chiarezza gli effetti.
Nel 2021, la fascia di età 20-25 anni ha registrato il più alto aumento del tasso di dimissioni.
Questa fascia di età tende a cambiare lavoro per accelerare la propria carriera ed è probabile che abbiano ritardato i loro spostamenti di carriera a causa della pandemia generando ora una maggiore pressione sul cambiamento.
Sorprendentemente però, anche i dipendenti di età compresa tra 30-35, 40-45 e 45-50 hanno aumentato il tasso di dimissioni di oltre il 38%. Questi gruppi di età sono in genere più stabili e lenti a cambiare, quindi il loro aumento del tasso di dimissioni suggerisce che è indicativo della natura dirompente dell’ondata di dimissioni di quest’anno.
Sulle nuove priorità, nuovi obiettivi, c’è per questo motivo ampia letteratura e dati in merito.
Sinteticamente, le persone iniziano a preferire la flessibilità alle certezze, il tempo al denaro; tanto è vero che non stanno riuscendo bene quasi ovunque le politiche legate agli incentivi economici, quel “pay them more” urlato da Biden e arrivato ormai anche in Europa e nel nostro Paese.
Le persone sembrano adesso più accomunate da ricerca (e richiesta) di: significato, controllo, flessibilità, ma anche da curiosità e possibilità di imparare e sperimentare idee e competenze nuove rispetto alle promesse di stabilità e benessere soprattutto se collocate nel futuro come una Terra Promessa a cui arrivare dopo un passaggio nel deserto.
Due parole in più su significato, controllo, flessibilità, curiosità e voglia di imparare.
Significato
La pandemia è stata caratterizzata senz’altro dal lutto. La perdita dei nostri cari o comunque una morte diffusa e spettacolarizzata dai sistemi di informazioni di massa e social. Ma anche la perdita della normalità, un vero e proprio lutto che ha portato tantissime persone a ripensare le proprie vite e introdurre cambi di rotta, carriera, che per troppo tempo avevano accantonato. Se “si vive una volta sola” è il momento per cercare significato. Uno dei fenomeni emblematici è quello della “vendetta del sonno”, un fenomeno iniziato in Cina con il termine 報復性熬夜. A renderlo noto fu la giornalista Daphne K. Lee, in tweet della scorsa estate. È la situazione, che descrive lo stare alzati fino a tarda notte per reclamare la libertà che ci è mancata durante il giorno. Apparve per la prima volta in un post del 2018 a cura di un uomo della provincia del Guangdong che raccontava così la sua scelta: la giornata lavorativa “appartiene a qualcun altro”, la notte a “noi stessi”.

Legato a questo, e alla voglia di sperimentare, si riscontra così, anche in Italia, una nuova spinta al “Side Hustle”, lavori secondari, spesso basati sulle proprie passioni, una volta intesi come modo per arrotondare ma che oggi sono considerati al pari di test ed exit strategy per lasciare il proprio lavoro.
Controllo
Non a caso sempre più persone stanno abbracciando sfide imprenditoriali e/o autonome, come freelance, anche a dispetto di rischi e precarietà ma per avere maggiore controllo sul proprio tempo.
Flessibilità
Non solo fuga dalle aziende (Great Resignation) ma un nuovo rapporto con i datori di lavoro è sul tavolo. Il punto cruciale è stato ed è il ritorno in ufficio dopo mesi di smart working. Le nuove generazioni, ma non solo, chiedono adesso di potere mantenere l’autonomia e la flessibilità sperimentata nei mesi di lockdown.
Un recente studio di Legion, una piattaforma di gestione della forza lavoro, rivela che il 59% dei dipendenti ha citato problemi di pianificazione per il motivo principale per cui avrebbe lasciato il lavoro .
Curiosità e voglia di imparare
Secondo il sito INDEED.com si assiste a un significativo cambiamento di interesse nel mondo del lavoro. La cifra distintiva è la curiosità verso settori ricchi di stimoli, da remoto, ad alta redditività.
L’ingegneria civile e le operazioni IT hanno registrato il balzo maggiore, ciascuna delle quali ha registrato un aumento del 59% dell’interesse dei cercatori di lavoro rispetto alla media nazionale. I lavori nei media e nelle comunicazioni hanno registrato un aumento dell’interesse del 48,7% e lo sviluppo del software è stato subito dietro, con un aumento del 48%.
L’interesse per le posizioni di caricamento e stoccaggio, tuttavia, è crollato, scendendo del 39,8% nell’intervallo di tempo. Anche i lavori di cura della persona e di salute domestica, forse non a caso, hanno avuto meno appeal, scendendo del 33%. Le posizioni nella preparazione del cibo e nei servizi sono scese del 18% e l’interesse per le posizioni nell’assistenza all’infanzia è sceso del 15%.
Mentre da da un’indagine Visier emerge che:
- Quasi i tre quarti del totale degli intervistati ha affermato che lascerebbe assolutamente o probabilmente il lavoro attuale per un altro lavoro che retribuisce lo stesso ma offre opportunità di formazione migliore o più qualificata. Le generazioni più giovani (Gen Z e millennial) sono risultate ancora più affamate di competenze.
- Le competenze principali di cui gli intervistati hanno affermato di necessitare per l’avanzamento di carriera erano le capacità di leadership e le competenze trasversali, inclusa la gestione delle persone e la gestione del tempo. Anche abilità come capacità organizzative, capacità di comunicazione e risoluzione dei problemi erano in cima alla lista. Sorprendentemente, le competenze tecniche specifiche per ruoli o settori erano molto più basse nell’elenco, menzionate solo dal 15% degli intervistati.
Chi un lavoro non ce l’ha e chi sta iniziando… quali obiettivi si pone.
Un discorso un po’ diverso va fatto per chi un lavoro non lo ha e/o si trova all’inizio della propria carriera, non fosse altro perché è qui che ritroviamo le nuove generazioni, più suscettibili alle nuove idee e più malleabili al cambiamento e che comprendono meglio il contesto.
La “Yolo Economy” in questo caso assume ancora più forza, spinta e sostenuta, come accade in ogni grande cambiamento, dall’insieme di tre grandi forze – economiche, sociali, tecnologiche – che vanno a creare un ambiente ben delineato ma altrettanto nuovo e complesso.
Il lavoro tradizionale perde appeal, ma cresce quello dei modi alternativi di generare denaro
Come avevo già avuto modo di sottolineare diversi mesi fa è ingiusto e miope dire che le nuove generazioni siano pigre. è più onesto dire che viviamo un’epoca in cui tutti, ma specie i più giovani, sono meno inclini ai compromessi. In un bell’articolo intitolato “il capitalismo rotto”, Anne Helen Peterson raccontava così il fenomeno visto dagli Stati Uniti: “Salario offerto per la maggior parte delle posizioni: $ 10,50 l’ora. I turni notturni ottengono $ 11,50. Di contro, i costi di affitto per una camera da letto superano mediamente i mille dollari al mese, in aumento del 27% rispetto allo scorso anno. Stando così le cose, non sempre vale la pena accettare un lavoro”.
In Italia, complice anche la crisi che imperversa per le imprese, come d’altronde accade anche a livello mondiale, e considerata una spropositata offerta di lavoro, ci troviamo spesso in situazioni altrettanto “misere”, per le quali i giovani non sentono se non nella minoranza dei casi di dover accettare.
Se negli Usa la Yolo Economy sembra essere un fenomeno spinto anche dagli incentivi e sussidi statali, qui qualcuno indica il reddito di cittadinanza come corresponsabile di questo atteggiamento.
Io non ne sono molto convinto e ne avevo parlato qui ma rimango in attesa di evoluzione per esprimere un parere.
Impatta invece a mio avviso molto più la percezione di essere in una nuova era di opportunità che ogni giorno viene, più o meno in buona fede, ostentata e promossa sui social.
Se dagli albori del web le nuove generazioni sono state stimolate dall’idea di facili guadagni o guadagni comunque alternativi, negli ultimi due anni le opportunità sembrano – o questa pare la promessa – aumentate a dismisura.
L’anno scorso è stato il boom dei “piccoli speculatori”, con giovani che per la prima volta si sono avvicinati al mondo della finanza e lo hanno fatto con quella salsa di gamification tipica di questi tempi. Il risultato più eclatante è stato l’acquisto in massa di GameStop ma anche di tanti altri titoli morenti, come Blockbuster, in una folle gara contro gli investitori tradizionali.
Da allora, storie di guadagni esorbitanti “durante la notte” hanno dato ulteriore spinta all’idea che i soldi e il lavoro non debbano essere necessariamente collegati. Come a dire: “posso fare soldi anche in maniera diversa e più in fretta”.
Uno slogan che sembra azzeccato anche per un fenomeno ancora più impattante e nuovo: “la decentralizzazione finanziaria”, il mondo delle criptovalute, gli Nft, la tokenizzazione e il metaverso.
Senza entrare nel merito dei singoli fenomeni che richiede specializzazione, è comunque da considerare l’impatto che queste avranno nella scelta di obiettivi e impegni delle nuove generazioni.
Se una volta il sogno era fare il calciatore, oggi il sogno è diventare creator o investitore, o entrambi.
Narrazioni 3.0
In “21 lezioni per il XXI secolo”, un libro che letto oggi assume ancora più valore, Harari poneva l’accento sulla disillusione che progressivamente si fa largo nelle nostre vite e sul fatto che il genere umano ha sempre funzionato tramite storie e convenzioni.
L’esempio principale riguardava proprio il denaro.
“Quando la maggior parte della gente vede una banconota in dollari” scriveva Harari, dimentica che si tratta soltanto di una convenzione. Quando vede il pezzo di carta di colore verde con l’immagine di un uomo bianco morto, la gente lo considera come qualcosa che ha valore in sé e per sé. Le persone quasi mai ricordano a se stesse “Effettivamente, questo è un pezzo di carta senza valore, ma poiché anche altri lo considerano come qualcosa di valore, allora io posso usarlo.”
Ecco, se adesso ad esempio le criptomonete e in generale l’idea di una finanza decentralizzata mette in discussione l’autorità della moneta intesa in senso tradizionale, tutto il nuovo mondo sociale e tecnologico mette in discussione anche le stesse storie e convenzioni che ci hanno sin qui guidato.
Ciò significa non solo veicolare una crescente attenzione, fiducia – a volte troppo superficiale – verso una finanza alternativa ma anche e soprattutto promuovere l’idea che non tutti debbano necessariamente usare la stessa “valuta” per vivere significativamente.
E questa valuta, diversa per ciascuno, potrebbe anche non essere più qualcosa di finanziario in senso stretto.
Per qualcuno potrebbe essere “tempo”, per altri “stile di vita”, per altri “flessibilità e controllo”.
Penso che questo sia un modo più verosimile per interpretare il modo di pensare tipico delle nuove generazioni e ciò che il fenomeno “Yolo” sottende.
Il periodo è rivoluzionario potenzialmente perché sembra davvero dare la possibilità di ridisegnare l’intero sistema sociale, economico e civile.
Dall’altra parte per il suo messaggio romantico e scapigliato si pone come una ghiotta occasione per fare del marketing e pompare ossigeno nuovo in mondo vecchio che gattopardescamente farà finta di cambiare perché nulla cambi.
Vorrei solo essere più giovane per godermi la rivoluzione che mi piacerebbe vedere.

Manager, Advisor, Autore, Speaker|
Per oltre trent’anni sono stato nel mondo delle vendite, iniziando da agente sino ad arrivare ad occupare posizioni apicali in aziende come Diesel, Adidas, 55DSL, OTB.
Parallelamente ho iniziato ad avvicinarmi al mondo della motivazione e della crescita personale, convinto che spetti sempre a noi prendersi la responsabilità delle nostre esistenze.
Questo mi ha portato a studiare, cercare, testare, risposte ai continui quesiti della vita e del lavoro, come: “Perché alcune persone sono in grado di correre ultramaratone e altre faticano ad alzarsi dal divano?” “E perché le stesse persone che corrono una ultramaratona nel weekend, in ufficio svogliate ti rispondono: Prenditela tu la risma per la stampante?”
Da ormai vent’anni ho fatto di questo il mio lavoro e la mia missione, aiutando individui e organizzazioni a raggiungere gli obiettivi mantenendo la propria umanità.
Alcune delle aziende e organizzazioni con le quali ho collaborato, come formatore e speaker, comprendono: Amway, Banca Mediolanum, Banca Popolare dell’Emilia Romagna, Bayer, Calzedonia, Cassa Centrale ,CNA, Confartigianato, Confindustria, Giuffrè Editore, Herbalife, Juice Plus, Just Italia, JUUL, LIoyd’s, Liu·Jo, Lotto, Nespresso, Revlon, Scavolini, Sony Italia, UNIPD, Wella e molti altri.