Vecchie ciabatte in nuovi scarponi: fare il massimo con ciò che abbiamo, che spesso è poco, vecchio o in disuso

In Approfondimenti, La Grande differenza
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Stufe stanche, biciclette rotte, tubi orfani, chiodi storti, panni usati, fil di ferro, orrendi quadri, stoviglie sbeccate e una moltitudine di oggetti strani in cerca di significato. Trovavano tutti asilo nella “stanza degli intrighi”, il nome che in Veneto si usava per definire questi magazzini domestici.

Erano stanze in cui si riponeva tutto ciò che era rotto, vecchio, inutilizzabile, passato di moda. Ma che il senno prospettico, fatto di frugalità e conoscenza della vita e delle sue incertezze, suggeriva di conservare anziché gettare.

E infatti prima o poi veniva sempre il momento di andare nelle stanze degli intrighi, armarsi di pazienza e creatività, trovare tra le vecchie cose una soluzione a vecchi problemi.

Una ammissione di umanità, una dichiarazione di umiltà, una accettazione del fatto che nella vita non sai mai esattamente come andrà.

Questa stanza mi viene in mente in questi giorni, parlando con imprenditori, professionisti, manager, che si trovano a dover fare fronte a nuove situazioni e nuove problemi senza troppe risorse disponibili.

Al di là delle fasi burocratiche che tutti abbiamo conosciuto e stiamo vivendo (fase I, II, III), anche in questa storia si possono riscontrare due momenti definiti.

Il primo, nel pieno della pandemia, è quello conosciuto come “lotta o fuggi”; Fight-or-flight response.

Descritto per la prima volta dal fisiologo americano Walter Bradford Cannon, è il primo stadio della sindrome di adattamento generale che regola le risposte allo stress tra vertebrati e altri organismi.

In piena pandemia, come un animale alle prese con un nemico e come i nostri antenati preistorici, abbiamo dovuto abbandonare il pensiero razionale per decidere rapidamente se scappare o lottare.

Non è qualcosa di negativo, penso anzi sia corretto agire in questo modo in circostanze di crisi forte e inaspettata. Anzi, ho spesso suggerito di abbandonare i grandi ragionamenti e adottare un principio che ho chiamato dei “tre metri e tre giorni”: preoccupati di cosa puoi fare o può succedere nel raggio di tre metri e da qui a tre giorni, perché tutto è così in divenire che ogni piano e ipotesi potrebbero essere un esercizio di stile.

Oggi però siamo in una fase diversa. La situazione sta decantando e chiarendosi e siamo qui a cercare le giuste mosse e contromosse.

Questo è il momento di scegliere saggiamente e fare i conti con i vincoli. Come i miei genitori mi hanno insegnato, come i vecchi sapevano fare a meraviglia, è il momento in cui hai poco a disposizione ma devi comunque trovare soluzioni efficaci.

È il momento della creatività. Quella vera, non quella dei decaloghi sui magazine o sui social.

La creatività ama i vincoli

Per prima cosa è bene sgomberare il campo: la creatività, contrariamente a quanto si crede, ama i vincoli e la scarsità di risorse a disposizione.

Spesso crediamo di non essere creativi perché vi sono delle restrizioni (in azienda il discorso è all’ordine del giorno) ma in realtà sono proprio le restrizioni a favorire un reale pensiero creativo.

Una ricerca apparsa sul Journal of Management nel 2018 sostiene e dimostra la tesi: i vincoli favoriscono creatività e innovazione. Ma soprattutto vi sono tanti casi concreti che lo dimostrano.

Quando i reparti creativi di Google, ad esempio, lavorano sui nuovi progetti sono innanzitutto sommersi da vincoli e, come ha raccontato Marissa Mayer, sono proprio questi vincoli a velocizzare e facilitare il processo. Così, ad esempio, lavorando alla nuova Google Toolbar, non vengono prese in considerazione proposte che, per quanto apparentemente brillanti, superino i 625 kilobyte di download perché rovinerebbe l’esperienza degli utenti.

Anche il tempo può essere un vincolo utile per stimolare la creatività.

Sempre in Google vengono imposti tempi molto ristretti alla progettazione, spesso di una sola settimana.

Limitando il tempo in cui si lavora, si limita l’investimento e sarà più facile accettare che una soluzione di compromesso che però rispetti, comunque, l’obiettivo principale.

Su questo, e sul rischio al quale si va incontro quando invece si dedicano ampie risorse, ho scritto in “Alternative”, parlando di “traguardicea”.*

*È la situazione che Christopher Keyes, professore di management alla George Washington University School of Business, definisce “Traguardicea” : si tratta della “sindrome” per la quale si inseguono obiettivi anche quando sono chiaramente irraggiungibili e/o sarebbe meglio tornare indietro.

Ovvero le situazioni in cui ci si dimentica del perché ci si era dati uno scopo e si finisce per continuare testardamente ad inseguirlo anche se non più funzionale o raggiungibile.

Quanto a casi ancora più concreti, uno splendido esempio di creatività favorita dai vincoli è l’elettrocardiografo MAC 400 (ECG) di GE Healthcare, che ha rivoluzionato l’accesso rurale alle cure mediche. Il prodotto è stato il risultato di una formidabile serie di vincoli imposti agli ingegneri GE: sviluppare un dispositivo ECG che vantasse la tecnologia più recente, non costasse più di $ 1 per scansione, fosse portatile per raggiungere le comunità rurali (essere leggero e adattarsi uno zaino) ed alimentato a batteria.

Agli ingegneri furono concessi solo 18 mesi e un budget di 500.000 dollari un budget molto modesto per gli standard GE, dato che lo sviluppo del suo predecessore era costato 5,4 milioni.

L’elettrocardiografo MAC 400 fu un successo.

Ma non fu un successo nonostante i vincoli, fu un successo grazie ai vincoli imposti.

Un altro caso, molto romantico, su cui è stato girato anche un film, “Il ragazzo che catturò il vento”, è quello di William Kamkwamba che a quattrodici anni, nel poverissimo Malawi, costruì una macchina eolica usando la bicicletta del padre e pezzi di recupero abbandonati e trovati nelle discariche.

Ma il mio preferito rimane quello legato al viaggio spaziale dell’Apollo 13. Emblematico e quanto mai attuale di questi tempi.

Quando il 14 aprile 1970 un serbatoio pieno di ossigeno liquido all’interno della navicella spaziale Apollo 13 si ruppe, gli ingegneri e tecnici del Kennedy Space Center non persero tempo a entrare in azione.

Guenter Wendt, che è stato il capo delle squadre della rampa di lancio al Kennedy Space Center in Florida, disse che tutti iniziarono a guardare i dati chiedendosi dove potesse essere il guasto, di che tipo di malfunzionamento potesse trattarsi e cosa avrebbero potuto fare.

Wendt spiegò al sito www.space.com che, una volta iniziata l’emergenza, non ebbe il tempo di soffermarsi sulle emozioni del momento .

“Non pensi tanto a come ti senti o cosa significa. Hai un lavoro da fare”, disse.

Se avete visto il film di Ron Howard del 1995, ricorderete la scena in cui sulla Terra si lavora per aggiustare il depuratore che permette agli astronauti di respirare.

La scena mostra un supervisore di ingegneria che svuota rapidamente il contenuto di una scatola marrone su un tavolo. Gli ingegneri perplessi nella stanza vengono sfidati dal supervisore a fare in modo che un filtro per l’anidride carbonica quadrato si inserisca in uno spazio progettato per un filtro rotondo.

I tecnici possono usare solo i materiali della scatola di fronte a loro (identici ai materiali che gli astronauti hanno nella capsula).

Se non troveranno una soluzione velocemente, gli astronauti moriranno.

In soli 37 secondi di film, vediamo all’opera la creatività e l’improvvisazione di persone sotto pressione.

Gli ingegneri troveranno per fortuna la soluzione a questo e ad altri problemi capitati durante missione Apollo 13, il resto è storia.

La sequenza degli avvenimenti, anche raccontata dal film, funge un po’ come manuale di istruzioni per questi tempi difficili, pieni di vincoli e in cui è obbligatorio essere creativi:

1.       scoppia il problema del depuratore d’aria, per noi per esempio potrebbe essere il licenziamento senza preavviso o la perdita del cliente più importante nel giro di pochi minuti;

2.       non vengono date possibilità di riparazione veloce del sistema originale ovvero il sistema è saltato, bruciato, irrecuperabile;

3.       a questo punto si tratta di evitare di perdere tempo in ricerche di colpe e cause;

4.       bisogna definire in modo più esatto e circostanziato possibile il problema da risolvere. Nel film era: “Si inserisca un filtro quadrato per l’anidride carbonica in uno spazio progettato per un filtro rotondo usando nient’altro che questi oggetti.”;

5.       vengono raccolte le persone attorno a un tavolo in modo da avere energie creative a disposizione;

6.       tutte le informazioni vengono messe sul tavolo e condivise;

7.       si passa in rassegna tutto il materiale disponibile;

8.       si generano soluzioni;

9.       si sceglie la soluzione migliore;

10.    si applica.

Tutto parte da un vincolo. Perché anche per applicare il tanto “think outside the box” abbiamo bisogno di una scatola per immaginare oltre.

E questo è esattamente il momento di farlo a partire dalle risorse scarse.

Ed è qui che verrà utile la “stanza degli intrighi” e tutto ciò che hai scartato.

Come è possibile fare qualcosa con ciò che hai scartato?

Intanto c’è da dire che molte volte quelle che chiamo le “frattaglie” della nostra esistenza non le abbiamo scartate ma solo dimenticate.

Altre volte invece sono cambiate le circostanze e ciò che prima era fuori moda ritorna ad essere attuale ed utile. Un po’ come i jeans a vita alta.

Altre volte è la lettura del fenomeno che cambia.

E parlo di cose pratiche, elementari, non solo di voli mentali e filosofici.

L’amico del cuore delle elementari che non hai più visto per decenni che hai dimenticato nella scansia più alta del tuo personale magazzino, e ci era finito perché dopo sposati non la vedevate più allo stesso modo e ti stava anche sulle scatole, oggi, che sei tornato single e succhi il tuo legnetto di solitudine, riprende la forma di quel compagno di giochi che a 6 anni avresti voluto come fratello.

Molto probabilmente nulla rimane davvero uguale ed è per questo che l’adattabilità è una attitudine fondamentale per permettere alle tue personali frattaglie di tornare ad avere un ruolo costruttivo ed utile.

L’adattabilità ha a che fare con la preoccupazione per il futuro e la curiosità perché bisogna credere che il futuro sia in parte controllabile in modo da non lasciare al destino ma scegliere ed ha a che fare con l’esplorazione perché solo curiosando nella soffitta della tua vita , oltre che nel tuo presente, eventualmente troverai.

L’adattabilità ha che fare con la fiducia in sé stessi e nel fatto che hai macinato tante esperienze e sei arrivato fino a qui puoi arrivare quasi ovunque.

Questo modello sostenibile per tramutare vecchie ciabatte in nuovi scarponi ha necessità di essere “inclusivo”.

Per capirci “inclusivo” è in termini sociali un ambiente dove le diversità, di tipo fisico, socioeconomico, etnico e di genere vengono valorizzate così da dare a tutti pari possibilità di crescita.

Ecco provate ad applicare questa definizione ai vostri ricordi, connessioni, esperienze, processi mentali.

Dategli diritto di cittadinanza e di voto.

Stateli ad ascoltare una volta riportati in vita e risvegliati dal coma farmacologico con cui li avete addormentati.

Farete sempre in tempo a rimetterli nella tomba, perché è vero che alcune cose stanno bene solo lì. Nella tomba.

Ma tante altre possono servire a costruire esistenze migliori, tutti quei piccoli patrimoni di tempo ed energia che hanno solo bisogno di creatività ed entusiasmo per essere recuperati e fare girare le pale del tuo mulino.

Ecco alcuni semplici suggerimenti che possono trovare applicazioni pratica nella vita di tutti i giorni, vi aiuteranno a materializzare la vostra “stanza degli intrighi” personale e a fare il meglio con ciò che non sapevate nemmeno di avere.

Il primo consiglio è quello di iniziare subito a classificare tutto ciò che non usate più.

Organizzate scatole dove facilmente potete infilare cose, scritti, oggetti, materiali ai quali non sapete dare più significato.

Scegliete un criterio facile, di tipo generale come: “famiglia”, “lavoro”, “salute” oppure qualcosa che sia sensato, ad esempio, “Germania” se si tratta di cose legate a quella esperienza. Oppure all’azienda specifica o all’evento. Insomma, date un nome alla scatola e fatela diventare la destinazione, la casa di riposo di tutto ciò che destinazione non aveva più.

Ricordatevi che le informazioni digitali scompaiono dalla testa dei più e quindi date loro fisicità, magari mettendo un post-it sul vecchio telefono o pc che ci ricordi cosa c’è dentro.

Il secondo consiglio è smetterla di dimenticare le persone. Collezionate le foto di chi incontrate. Mettetele come salvaschermo. Compilate liste. Fissate biglietti e post-it su una lavagna di sughero. Insomma, fate come volete ma mettete al sicuro il ricordo di chi incontrate. Tra tutti gli asset questo è il più importante.

Il terzo consiglio è catalogare le storie rilevanti alla vostra progettualità. L’uso di una app e di liste dei preferiti è la miglior cosa. Non parlo  però di dati e informazioni, quelle le troverete facilmente sempre. Parlo delle idee, degli spunti illuminanti, dei concetti, delle belle storie che aprono orizzonti. Quelli sono i veri fili di ferro che terranno assieme i pezzi con cui creeremo le nuove soluzioni.

“Penso che la frugalità favorisca l’innovazione, proprio come fanno altri vincoli. Uno degli unici modi per uscire da una scatola stretta è inventare la tua via d’uscita”.

Jeff Bezos
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