Un paracadute deve essere resistente, prima che bello. A venti come a cinquant’anni.

In Approfondimenti, La Grande differenza, Libri per La Grande Differenza
Scorri
È un buon paracadute che garantisce solidità e dignità alle nostre esistenze, a quelle di coloro a cui vogliamo bene e ci regala anche la possibilità di osare di volare alto. 

Reid Hoffman è una leggenda nel mondo dell’imprenditoria moderna, il cui nome è associato, tra le altre, a due delle aziende più influenti dei nostri giorni: PayPal e LinkedIn. La sua storia imprenditoriale inizia quando aveva appena dodici anni. Appassionatissimo di videogames e giochi di ruolo, ha l’opportunità di entrare nella sede di Chaosium, a quel tempo produttrice di un gioco chiamato RuneQuest. Con sfrontatezza espone le sue critiche ai produttori del gioco e in cambio riceve un assegno e l’invito a offrire altri feedback su altri giochi.

La sua carriera si svilupperà lungo linee trasversali, facendo della capacità di apprendere velocemente e reinventarsi di continuo, il suo punto di forza. È sulla base di questa esperienza che si basa il suo invito a pensare a noi come una startup, ma una startup intelligente che sappia seguire il vantaggio competitivo più che la passione.

È questo il tema di “The Start-Up of You: Adapt to the Future, Invest in Yourself, and Transform Your Career”, edito anche in Italia nel 2012 con il titolo di “Teniamoci in contatto”. All’interno si trovano diversi spunti che ancora oggi risuonano utili ed attuali, avendo inoltre il grande pregio di trovare aderenza anche nel mercato italiano e dunque anche per coloro alle prese con una carriera di tipo più tradizionale.

Invito chi non avesse letto il libro a leggerlo con attenzione e oggi vorrei riflettere su alcuni contenuti del libro che trovo quanto mai attuali e he mi interessano visto che fra poco uscirà, su temi affini, il mio nuovo libro: “Alternative”.

Non chiederti di che colore è il tuo paracadute

Un primo apprezzamento per Reid Hoffman va compiuto per il capitolo sulla  pianificazione. Evidenzia bene Hoffman come seguire la propria passione sia qualcosa di seducente ma non sempre utile. Molti libri sulla carriera e sul raggiungimento degli obiettivi, per quanto inappuntabili nella teoria, si scontrano con la realtà. Una realtà che non è statica, come farebbero pensare alcuni consigli, ma bensì caratterizzata dalla discontinuità.

In una società liquida come quella in cui viviamo, ha poco senso ad esempio chiedersi di che colore sia il nostro paracadute (allude al famoso libro “di che colore è il tuo paracadute?” di Richard Bolles).

Pensare al colore del proprio paracadute significa seguire il consiglio, rimanendo al libro di Bolles, di definire con estrema precisione le proprie mete, e orientarne la scelta sulla base della propria unica missione, dello specifico e fondamentale scopo.

Quel che conta, osserva Hoffman, non è il colore ma la resistenza del paracadute. Dovremmo innanzitutto chiederci :  “Il nostro paracadute saprà mantenerci in volo senza farci sfracellare?”

Quanto alla pianificazione iper-dettagliata, ai piani quinquennali e decennali, l’obiezione è che: “decidere dove vorrai essere fra dieci anni, quindi studiare un piano per arrivarci potrebbe funzionare se i contesti fossero immutabili”.

Una cosa sola, il focus e i falsi dilemmi

Altro punto interessante è sulla utilità di dedicarsi in maniera esclusiva a un obiettivo o a una sola strada. Su questo molti libri sono o categorici: “Una cosa sola” di Gary Keller, “Dritto al sodo” di Greg McKeown, svariati libri minori a sfondo motivazionale, indicano senza possibilità di appello l’utilità di concentrarsi su un unico punto di interesse e lasciare perdere tutto il resto. Sono consigli che hanno una valenza. Seguendo ad esempio la “regola del successo” delle mille ore, resa celebre da Malcolm Gladwell, sembra ovvio che dedicando il nostro tempo in maniera esclusiva ad un argomento, un campo di azione, un obiettivo, possiamo diventare virtuosi raccogliendone i frutti.

Tuttavia, sono consigli che a mio parere trovano poca aderenza al mondo reale. Era il 2003 quando pubblicavo il mio primo libro, La Grande Differenza, e mi rendevo conto di come, nella vita di persone normali come me dividere tutto in bianco e nero e fissarsi su una sola impresa fosse tutt’altro che una buona soluzione.

Troppi pericoli e cambiamenti sfasciavano già allora le certezze e in seguito le cose non sono mai divenute più chiare.

Anzi le situazioni sono diventate sempre più complesse, incerte e volubili.

In una società e in un mercato che cambia continuamente, puntare su un’unica direzione potrebbe significare arrivare prima in un campo di gioco quando la partita è già finita .

Se per trent’anni anni  avessi dedicato tutto il mio tempo solo a divenire un migliore venditore, senza impiegare tempo per conoscere il mondo digitale e contaminarmi di altre idee e  argomenti, oggi probabilmente sarei molto più bravo nella vendita di quanto mi si riconosca ma anche un magnifico esemplare di venditore quasi completamente fuori dai giochi del mercato.

Tutto cambia e il vero vantaggio competitivo è riuscire a cambiare anche noi.

È una continua decisione tra ciò che dobbiamo mantenere e ciò che dobbiamo lasciare.

Non una cosa sola ma un equilibrio dinamico, come quello dei surfer che sulle onde appaiono continuamente in movimento eppure tengono il peso del corpo in equilibrio, è la mossa più intelligente da compiere.

Reid Hoffman, dall’alto della sua esperienza, sintetizza l’intera faccenda scrivendo di “falsi dilemmi”.

“Come procedere, dunque? Seguire un piano o rimanere flessibile? Prestare ascolto al cuore o al mercato? La risposta è: entrambe le cose”.

Piani leggeri e sempre un Piano B

A venti come a cinquant’anni la cosa più saggia potrebbe essere quella di fare piani intelligenti e potenzialmente remunerativi ma leggeri, flessibili, modificabili, abbandonabili per potere essere così in condizione di poter cambiare.

In modo veloce e senza costi eccessivi.

Cosa serve per riuscirci?

Nel libro Hoffman fa diversi buoni esempi a cui personalmente aggiungerei quello di parlare con chi si è trovato spiazzato dalla vita.

Ho sempre constatato che uomini e donne non mancano di informazioni, non falliscono cioè per non sapere cosa fare, ma per le storie che ci raccontiamo in rapporto agli avvenimenti che ci capitano, oltre a quelli che facciamo accadere.

Non mancano le informazioni, sono le storie che ci raccontiamo ad essere deboli.

La prima storia debole che ci raccontiamo, specie oggi, è quella del “fallimento felice”. Un’ottimistica storia in cui possiamo lanciarci in ogni progetto al grido di :“O vinco o imparo”.

Concettualmente giusto, questo motto cancella ed ignora però le ferite e i danni che fallendo si riportano, i dolori che si creano. A noi e agli altri.

Fallire non è neutro. Costa.

Soprattutto se abbandoniamo la Silicon Valley e ci confrontiamo con la realtà del nostro paese, un paese in cui il fallimento è ancora una cosa terribilmente seria e dove, quasi sempre, i costi si pagano in prima persona.

A venti o a cinquant’anni il miglior consiglio è ancora di pensare al proprio paracadute.

Non solo al colore del tuo paracadute tanto meno a pensare di poterlo costruire mentre stai precipitando. E soprattutto al pensare di crearne uno solido.

È un buon paracadute che garantisce solidità e dignità alle nostre esistenze, a quelle di coloro a cui vogliamo bene e ci regala anche la possibilità di osare di volare alto.

Aspirare al meglio, prepararsi sempre per il peggio. E avere sempre un piano B.

X

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi