Sempre meno spazio per chi non ha una opinione

In Graffi sull'anima
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“Fammi controllare”. La frase laser con cui vengono eliminati, come peli superflui, i racconti che una volta servivano a passare le lunghe serate al bar, a riempire gli interminabili pranzi di famiglia, a fare colpo sulle ragazze annoiate.

Controlli subito sul cellulare, lì per lì.
Senza attese, code o ritardi.
Verifichi, distruggi e amplifichi l’ignoranza o le balle che chi ti sta propinando le sue nozioni, le sue informazioni, la sua testimonianza.
Non è male fare la tara ai resoconti del prossimo.
Al massimo, se è tutto vero, confermi la versione con sufficienza.
Come se lui svolgesse un compito in classe. Di matematica o latino.
Tu sei il professore, in possesso della procedura per la soluzione o per la traduzione.
Lo stesso vale per le narrazioni di città, locali, fiumi o mercati esotici, di pesci o stadi o discoteche e tutto quello che abbia una evidenza fisica o non opinabile.
Non serve più che tu racconti.
“Ho visitato il castello di Edinburgo e…” dice la tua amica.
E tu sei già lì, sul palmare a scegliere tra video, letture, foto che anticipano in scivolata qualsiasi notizia possa riferirti.
Nulla può stupirti.
Privi il contenuto della tua amica di forza e spessore.
Sei sempre un passo avanti e sterilizzi qualsiasi spunto.
Al massimo fingi di essere interessato per bontà o cortesia o perché la sua capacità interpretativa è notevole.
Tutti i dati possono essere verificati.
“Fammi controllare”.
Fine della discussione.
Che i social media e il web in generale riducano le nostra capacità di relazionarci agli altri è un fenomeno che ha molte probabilità di essere reale.
Per lo stesso motivo per cui il giorno del nostro compleanno riceviamo molti più messaggi di auguri che nel passato, ma molti meno inviti per uscire a festeggiarlo anche la nostra abilità di gestire i rapporti tridimensionali viene intaccata dalla diffusione virale e facilità con cui si possono gestire quelli virtuali.
Ma qui la riflessione va oltre.
Il web uccide quella parte ludica e piacevolmente banale rappresentata dalla narrazione di quello che sai e che hai visto.
Non serve più il dettaglio della notizia perché può essere accertata e approfondita al volo.
Il web è meglio, è più completo, ha tutto e soprattutto è accessibile subito. Mentre descrivi il concerto dei Muse sai già come erano disposti sul palco, che canzoni hanno fatto e che pubblico era lì.
Fine della discussione.
Quando racconti della eterna coda in autostrada per un terribile incidente non c’è nulla che tu possa aggiungere che nel frattempo i tuoi interlocutori sapranno già lunghezze, durata, cause, vittime, effetti collaterali.
Fine della discussione.
Ma erano poi davvero tutte discussioni quelle che credevamo di avere fino all’avvento di internet?
Discussione: “Esame approfondito di una questione, da parte di due o più persone che espongono ciascuna le proprie vedute”.
“Le vedute”, ecco, la discussione implica le vedute, la discussione può sfociare nella “controversia”.
Ma servono “le vedute”.
La nostra vita sociale prima del worldwideweb era zeppa di scambi e comunicazioni che non erano discussioni ma scambi di informazioni.
Nessuno poteva sapere tutto e l’asimmetria informativa regnava sovrana.
Creano ampi spazi per tutti, ritagliando scampoli di importanza anche per chi non aveva nulla di proprio da dire ma portava concetti di altri da ripetere o osservazioni senza opinioni.
Era facile non avere un punto di vista.
Nessuno se ne accorgeva.
Ricapitavi nozioni e cultura.
Poi la svalutazione.
Esiste una differenza tra la conoscenza e il significato che quella conoscenza ha per te.
Esiste una differenza tra i dati, che si possono misurare e le conclusioni che tiri usandoli.
Esiste una differenza tra la dimensione fisica e oggettiva di un luogo e l’esperienza emotiva che ne fai.
Tutta la parte oggettiva, misurabile, quantificabile, documentabile si è dissolta.
Ascoltiamo questa parte oggettiva con un sorriso malcelato che comunica all’altro quanto sia ormai irrilevante che ci descriva cose che possiamo sapere meglio e con più certezza sfogliando Google.
Quel sorriso si trasforma però in curiosità e attenzione quando si passa a parlare del significato che quei dati hanno per noi.
Che cosa esprimono soggettivamente i dati?
Quando interpretiamo, commentiamo, diamo punti di vista usciamo dal deserto di senso che il web ha creato intorno alle comunicazioni umane che coloravano la vita quotidiana.
La parte che abbiamo smarrito o stiamo perdendo, è quella dell’esposizione, della narrazione, del racconto dei fatti.
C’è sempre un testimone migliore, meglio posizionato, più attento di noi.
Che lascerà una traccia sul web, più attendibile e ricca di quanto noi potremmo mai riportare.
Sarà grave?
E’ grave tanto quanto non abbiamo opinioni che rendano ricco e interessante ciò che pronunciamo.
La condanna di questo periodo è il dovere avere un’opinione su tutto.
Pena non essere ascoltati, se non da chi ti vuole bene e per affetto rinuncia a verificare se davvero quell’hotel, di cui racconti meravigliose caratteristiche, è recensito e documentato così bene anche su tripadvisor.
In alternativa ad un’opinione puoi avere il senso dello humor, che aggiunge comunque unicità al discorso.
Diciamo che lo humor è un estremo dell’avere un’opinione.
Ma da solo non basta, mentre messo assieme ad un’opinione diventa uno strumento dirompente, quanto a comunicare efficacemente.
Stare positivamente nella nostra società, in questo periodo, richiede nuove doti.
L’unico spazio per non essere messi all’angolo dall’uso democratico e popolare dei motori di ricerca, significa essere capaci di aggiungere un parere personale.
frutto della riflessione sui dati di fatto.
Magari con capacità interpretativa che valga la pena di essere notata,
La capacità di spremere dal reale deisignificati apprezzabili non è così diffusa e ancora meno diffusa è quella di riuscire ad esprimerli.
E il paradosso è che per distillare opinioni che non vengano schiacciate o ridicolizzate dopo qualche minuto serve conoscenza.
Servono sempre cultura e dati, informazioni ed erudizione.
Da connettere in modo inusuale e nuovo, creativo e dinamico.
Servono l’immaginazione e fantasia oltre che degli ideali a cui agganciarsi e attorno a cui ruotare.
E serve la serenità di rimanere soli a riflettere su questi ingredienti per poi condividere.
E poi serve il coraggio di esporsi con teatralità.
Ma questo è un altro capitolo.

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