Se avessi saputo cosa cercare l’avrei trovato prima

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E anche non l’avessi trovato avrei la sensazione di esserci stato vicino.
Invece no.
Invece sempre a cercare toppe errate per chiavi sbagliate.
Sempre a imboccare strade comuni, dove tutti passano e si salutano con garbo, ma senza badare al fatto che si passa di là solo per tradizione e abitudine.
Come usare l’orologio in un mondo dove, l’unica cosa che non puoi dimenticare, è quella di sapere che ore sono.
In quelle strade troppo trafficate e calpestate mi sono perso anch’io.
In mille e mille capitelli mi sono fermato a chiedere la grazia di comprendere.
Ho baciato pile di mani per avere un brandello di spiegazione accartocciato.
Ho sorriso e pianto per catturare indicazioni e decifrare il geroglifico della mia esistenza.
Non è stato un granché fruttuoso.
Spinto e sospinto da venti sbagliati o confusi, mi sono ritrovato sempre al punto di partenza.
Che poi è quello dove non capisci se ci sei perché sei destinato o se sei destinato perché ci sei.
E ti acciambelli su questo cuscino malconcio, ma tutto sommato tranquillizzante, anzi anestetizzante, del dubbio esistenziale, del perché sei qui.
Ti rimbambisci di circoli viziosi o di dogmi risolutori.
E tutto si ribella a questa domanda.
Tutto diventa difficoltoso incerto, degno di ripensamenti.
Perché sono qui?
Da zero a cento, dal bianco al nero, dal giorno alla notte, ci sta dentro tutto ed il contrario di tutto.
In quella strada trafficata, dove si passeggia come Diogene, tutti abbiamo visto un pezzo della risposta, ma manca il tempo, la voglia e la possibilità per metterla assieme in un quadro unico.
Allora si incontrano i maestri.
E anche loro ne sanno poco.
Anzi, quelli che ne sanno di più ti avvisano che ne sanno proprio poco.
E quelli che ne sanno poco ti avvertono che loro sanno quasi tutto.
Che sono ad un passo dal Nirvana.
Dove si sa il perché.
Ma non ci vanno ancora perché prima te lo devono vendere.
Come un fondo pensione.
Mah.
Ed io, che corro a perdifiato fino a farmi scoppiare il cuore, e rimango, giorno dopo giorno, ora dopo ora, minuto dopo minuto, senza illuminazione né risposta, chiuso nel veliero dei punti interrogativi, mi sento solo e controvento.
Poi ci ripenso.
Negli scampoli delle domeniche sere che si tuffano mollemente nel mare dei giorni lavorativi.
Mi dico che per troppo tempo ho cercato troppo e  male.
Ho cercato il perché.
Cercavo il perché il fiume scorre, anziché cercarne la sorgente.
Ma nemmeno questa era la strategia giusta.
“No se busca el levante por el poniente”.
La strategia giusta, per me, piccolo elemento di un grande meccanismo, falange del mignolo di un gigante, è un’altra.
È quella di capire “come”.
Non perché.
Ma come.
Come si cerca la sorgente.
Come si arriva alla fine, o al principio.
Non è un questione di perché.
Il perché non è disponibile.
Non è a portata di mano.
Il “come” invece sì.
Sono nato per trovare il come, a qualsiasi costo, in qualsiasi condizione.
Ho mani e testa e cuore.
Abbiamo mani, testa e cuore.
Il come si può trovare.
Come fare, come andare, come trovare le americhe o come andare sulla luna.
Come allevare un bimbo felice o come invecchiare bene.
Come stare in mezzo alla gente portando felicità o come giocare una partita di pallone.
Come crescere e come morire.
Il come è la domanda per me, che sono umano.
Il perché è una domanda lecita ed affascinante, ma fuorviante, se posta senza come.
Perché è lì, nel trovare il “come” che noi, donne e uomini del pianeta terra, siamo bravi.
Geneticamente predisposti.
Nell’ inventare, identificare, applicare il “come”.
E vivere bene, o meglio, si può se, prima del perché, ci s’interroga sul come.

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