Un sondaggio pubblicato da Forbes ha rilevato che il 65% dei dipendenti rinuncerebbe a un aumento di paga se questo significasse vedere il loro capo licenziato, e uno di Gallup del 2016 ha riscontrato che l'82% dei dipendenti considera i propri leader fondamentalmente poco ispiranti.
Di contro, il 70% dei leader si sentono quasi sempre performanti, giudicando le proprie prestazioni come si giudicherebbe un pilota in gara, dal tempo e dalla posizione di arrivo. Più manager e aziende procedono verso l’efficienza, più la distanza dalle persone aumenta.
Quel che manca in questa storia è l’umanità, quel che è peggio è che ultimamente se ne parla sempre più spesso ma viene spacciata per l’ennesima tattica nell’arsenale del marketing.
Il tema del rimanere umani sul luogo di lavoro è una di quelle poche aree che “il marketing del tutto” non riesce a colonizzare adeguatamente.
L’umanità rimane impermeabile alle lusinghe del marketing e gli individui sentono puzza di falso quando un capo che hanno visto depresso, cupo e arrabbiato per la stretta sui costi aziendali che prevede per lui ora una Audi A4 anziché una AudiA6 si rivolge loro bonario dicendo di non preoccuparsi per il futuro perché sono l’asset più importante della company.
“Ecco qui caro Dirigente dice il formatore, tre etti e venti di umanità, un po’ più di quello che ha chiesto. Cosa faccio? Lascio?”
No, non funziona così nonostante il grande lavoro di performance evaluation, assessment e appraisal e i corsi di entreprenurial skill acquisition and employment introduction e i seminari di employer branding e humanity management.
Tutto si compra, tutto si vende dice il marketing ma non è così e le statistiche e i risultati con cui vengono castigati i capi incapaci, e quelli stronzi, lo dimostrano.
L’umanità, per natura, si ritrae come una ameba alla punta dell’ago della commercializzazione che pretende di insegnare e vendere come si fa a farsi percepire “umani”.
La gente è sensibile e in genere riconosce subito quando reciti in questo campo.
Certe tecniche possono funzionare quando parli di detersivi o lassativi ma quando tocchi “le vite” diventiamo più attenti di una gazzella nella savana.
Essere generosi.
Essere curiosi ed essere interessati agli altri.
Conoscere sé stessi
Mostrare modestia
Incoraggiare l’individualità
Trattare la gente in mondo specifico.
Ascoltare con attenzione
Annuire spesso
Parafrasare ciò che dice l’interlocutore.
Consigli come quelli di sopra, che troviamo disseminati sul web, impreziositi da simboli e infografiche, sono interessanti ma avvolti su loro stessi. Sono consigli di buon senso, ma anche infantili e commoventi di fronte ad un mercato del lavoro dalle caratteristiche di un Vietnam.
Di capi stronzi e di dipendenti rapaci
I dati emersi dalla ricerca di Forbes, al pari di tante altre ricerche impietose sul management e il rapporto con le persone, non mi stupiscono e rispecchiano anche molto della realtà che viviamo.
Anche da noi ormai le aziende sono piene di capi che se non sono odiati sono a malapena tollerati dai loro sottoposti.
Non che molti dipendenti siano dotati di umanità a loro volta, anzi.
Ho incontrato molte persone che entrano nelle organizzazioni già sfiduciate o ideologizzate e con un programma distruttivo del sistema a prescindere da chi lo guiderà.
Obiettivo primario di chi seleziona dovrebbe essere quello di tenerli fuori e questa è una possibilità molto concreta. Rimane però che un dipendente fa danni per uno mentre un capo fa danni per tanti visto il differenziale di potere amministrato. Inoltre, chi decide di comandare fa una professione di capacità gestionale che gli addossa più responsabilità e per questo teoricamente gode di maggiori onori.
Insomma, un capo poco umano è più distruttivo di un dipendente poco umano a livello aziendale.
Preferire il licenziamento del capo ad un aumento di stipendio forse è anche normale visto che coloro che si ritrovano un capo che viene percepito come competente ed umano fanno meno assenze per malattia e stress. Inoltre, sono più produttive secondo le indagini che abbiamo a disposizione.
Manager più umani rendono le persone più felici di lavorare e più efficienti le aziende. L’umanità, ormai dovrebbe essere chiaro, manca a tutti e conviene a tutti.
Come si acquisisce e “potenzia” allora l’umanità?
L’umanità è la capacità di comprendere quando il dolore che un altro sente è troppo.
E visto che tutte le persone felici si somigliano mentre ogni persona infelice è invece disgraziata a modo suo, per dirla con Tolstoj, capirlo è una dote rara, perché è la risultante variegata di due mondi diversi ma simili.
La capacità di avvertire e sentire il dolore altrui non si compra. Si possiede e talvolta si sviluppa.
La mia esperienza come sottoposto e come capo mi suggerisce che tentare di definire cosa significhi essere umani a priori è difficile ma soprattutto inutile figuriamoci insegnare come.
È diversa da persona a persona ma anche uguale, ci unisce e ci distingue. Come le impronte digitali, tutti le abbiamo e sono simili ma la piccola differenza fa la grande differenza.
Forse il modo migliore per “insegnare” l’umanità ai capi sta nello spiegare loro l’importanza di ciò che fanno per il divenire del mondo.
Il sociologo Edgar Morin spera, per questo, che venga istituita una cattedra di comprensione umana in ogni ordine e grado di istruzione per insegnare a costruire un mondo vivibile.
Dove si apprenda il senso di cittadinanza terrestre, quella che ci vede tutti cittadini dello stesso pianeta, quella che ci rende appartenenti alla razza umana con la sua affettività e le sue emozioni. Essere umani significa avvertire nel profondo della propria anima, coscienza, spirito o comunque si voglia chiamare quella parte più profonda e vibrante di noi che siamo simili, vicini, solidali, collegati.
Essere umani in azienda richiede più che un decalogo di buona comunicazione interpersonale.
Essere più umani significa percepire i posti dove siamo come una casa comune. Più grande la casa, più grande l’umanità e notate che non dico sia semplice né a buon mercato.
Essere umani significa pagare in soldi, tempo, energie e sbattimento personale per fare stare meglio altri e non vendergli percezioni.
Ecco direi che l’umanità si distingue per il pagare piuttosto che per il vendere.
Essere umani significa comprare un appartamento nel cuore del prossimo, anche se è un tuo sottoposto, anche se sei capo dell’universo, anche se non guidi più una Audi A6.
Ed averne cura.

Manager, Advisor, Autore, Speaker|
Per oltre trent’anni sono stato nel mondo delle vendite, iniziando da agente sino ad arrivare ad occupare posizioni apicali in aziende come Diesel, Adidas, 55DSL, OTB.
Parallelamente ho iniziato ad avvicinarmi al mondo della motivazione e della crescita personale, convinto che spetti sempre a noi prendersi la responsabilità delle nostre esistenze.
Questo mi ha portato a studiare, cercare, testare, risposte ai continui quesiti della vita e del lavoro, come: “Perché alcune persone sono in grado di correre ultramaratone e altre faticano ad alzarsi dal divano?” “E perché le stesse persone che corrono una ultramaratona nel weekend, in ufficio svogliate ti rispondono: Prenditela tu la risma per la stampante?”
Da ormai vent’anni ho fatto di questo il mio lavoro e la mia missione, aiutando individui e organizzazioni a raggiungere gli obiettivi mantenendo la propria umanità.
Alcune delle aziende e organizzazioni con le quali ho collaborato, come formatore e speaker, comprendono: Amway, Banca Mediolanum, Banca Popolare dell’Emilia Romagna, Bayer, Calzedonia, Cassa Centrale ,CNA, Confartigianato, Confindustria, Giuffrè Editore, Herbalife, Juice Plus, Just Italia, JUUL, LIoyd’s, Liu·Jo, Lotto, Nespresso, Revlon, Scavolini, Sony Italia, UNIPD, Wella e molti altri.