Non sentirti mai troppo grande, non sentirti mai troppo piccolo: lezioni di vita e di leadership dagli All Blacks

In La Grande differenza, Libri per La Grande Differenza
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Gli All Blacks neozelandesi sono la squadra di rugby più forte al mondo, negli ultimi 100 anni hanno vinto più del 75% dei loro match internazionali. Qual è il segreto del loro successo? E cosa possiamo noi - come individui, squadre o aziende - imparare da loro?

A Marzo 2019 è uscito in Italia, “Niente teste di cazzo: lezioni di vita e di leadership dagli All Blacks”, traduzione ( discutibile nel titolo a mio parere) del bestseller “Legacy”, di James Kerr, scrittore, esperto di arti marziali, consulente strategico per le forze speciali statunitensi e britanniche, per team di Formula 1, per gli equipaggi dell’America’s Cup, oltre a molte altre società, da Google a PayPal, Vodafone a Dyson, HSBC a Roche, Red Bull a Unilever, Shell a Boeing.

Avevo già letto la versione originale e il clamore dell’edizione italiana mi ha spinto a riprendere in mano il libro e riflettere. Confermo che, a mio parere, si tratti di un libro ben fatto, snello nonostante alcune storie tecniche – legate al rugby – ricco di suggerimenti e considerazioni utili tanto agli individui quanto ai team e a chi ha la responsabilità di guidarli.

Il mio rammarico come scrivevo è per il titolo in italiano. “Niente teste di cazzo” risponde bene alle logiche di un mercato spinto dai titoli più che dai contenuti ma perde la potenza e il concetto fondamentale: “Legacy”, l’eredità – che per la mia esperienza di  Heritage Consultant in Diesel/OTB assume ancora più importanza.

Detto questo ecco alcune riflessioni sul libro, come sempre senza spoilerare troppo e togliere il piacere della lettura.

Come nasce questo libro

Nel giugno 2010 insieme al fotoreporter Nick Danziger, James Kerr ha trascorso cinque settimane tra le file degli All Blacks mentre cominciavano a prepararsi per l’imminente Coppa del mondo di rugby. Ha potuto così godere di un punto di vista privilegiato all’interno di una cultura dalle elevate prestazioni; ha imparato che i loro metodi forniscono un modello efficace e stimolante, valido anche per i leader di altri settori. Ha poi  incrociato la ricerca con la sua esperienza nella cultura del cambiamento e nell’engagement, o coinvolgimento, per alcune delle imprese leader mondiali, nel tentativo di spiegare l’eccezionale successo degli All Blacks e come potremmo applicarlo per guidare i nostri affari e la nostra vita.

Il risultato, 15 lezioni di vita e di leadership, può essere a mio avviso condensato nella frase con cui l’autore introduce il libro: “La Haka ( la danza propiziatoria tipica del popolo Māori, l’etnia originaria della Nuova Zelanda ),ci ricorda l’intrinseca fragilità della vita. Quanto poco tempo ci viene dato. E quanto ancora ne abbiamo. Ci ricorda che : “Questo è il nostro momento.”

Più della tecnica, più del talento, più delle star

Molte volte ci lasciamo intimorire da situazioni che oggettivamente potrebbero non essere così difficili da affrontare. Quello che ci blocca, ci impaurisce, va però oltre le caratteristiche oggettive della sfida. “C’è qualcosa nell’aria” è una frase che usiamo per spiegare qualcosa che avvertiamo, ma non riusciamo a spiegare.

Quella stessa sensazione, quell’essenza invisibile, è il motivo per cui aziende, team e anche singoli individui prosperano e raggiungono risultati inimmaginabili. Di cosa si tratta?

Jorge Valdano, storico campione di calcio argentino e scrittore, spiegò bene il concetto, usando il termine “Miedo Escienico”.

Scriveva nel 1986, sulle pagine di Revista: “Risultati clamorosamente sfavorevoli sono stati ribaltati contro gloriose rappresentanti di potenze del calcio come Germania, Italia o Belgio, grazie a prestazioni poco meno che miracolose, però perfettamente spiegabili facendo appello a fattori che vanno al di là di ciò che è strettamente calcistico. Le ragioni tecniche, tattiche e anche fisiche che danno a una squadra una fisionomia e che ne definiscono lo stile derivano in primo luogo dalle qualità di ogni giocatore e, in second’ordine, dalle richieste dell’allenatore. Si dipende da uomini che svolgono funzioni circoscritte nel tempo, e perciò mutevoli. Ma una squadra, prima di tutto, è uno stato d’animo.”

Mi è venuta in mente questa storia leggendo le prime righe di “Niente Teste di cazzo” che d’ora in avanti, perdonatemi, ma chiamerò con il titolo originale: Legacy”.

“È la morte! È la morte! Che io muoia! Che io muoia! È la vita! È la vita! Che io viva! Che io viva!”

“Spesso, mentre la Haka raggiunge il suo apice, la squadra avversaria ha già perso. Perché il rugby, come gli affari e la vita, si gioca prima di tutto nella testa.”

E spesso, quasi sempre, le partite si giocano ben prima di scendere in campo. Mi viene in mente un concetto del quale parla continuamente e da anni Arrigo Sacchi, ritenuto tra i più grandi e visionari allenatori di calcio, che ho avuto la fortuna di incontrare. Sacchi sostiene che senza una cultura della vittoria non si possa mai arrivare alla vittoria; non almeno in modo sistematico e non a vittorie che lascino il segno. Questa cultura della vittoria, sempre secondo Sacchi, non può che essere una cultura del lavoro e della organizzazione.

Leggendo Heritage si vedrà che, per buona parte, è proprio questa cultura del lavoro, dell’organizzazione, del sacrificio e dell’appartenenza, a incidere molto più del talento e della tecnica.

Ed è questo il motivo per cui concetti rugbistici possono essere raccontati e trasferiti anche alla vita degli individui, ai team, ai leader.

Il primo capitolo, dedicato al “carattere”, è emblematico ed è molto in linea con quanto cerco di trasmettere da anni.

Carattere: assumersi la responsabilità

PULISCI GLI SPOGLIATOI Non sentirti mai troppo grande per fare le cose piccole.

Kerr racconta un fatto che potrebbe suonare sorprendente (recentemente ai Mondiali di Calcio del 2018, un analogo comportamento dei giocatori giapponesi venne celebrato in tutto il mondo, specie nel nostro paese). Al termine di una strepitosa vittoria, “ due dei giocatori più anziani – uno dei quali è stato giocatore internazionale dell’anno per due volte – afferrano una ramazza e cominciano a spazzare lo spogliatoio. Ammucchiano negli angoli il fango e le bende usate. Mentre il Paese sta ancora guardando i replay e i bambini sono sdraiati nei letti sognando la gloria degli All Blacks, i giocatori riordinano il loro stesso caos. Puliscono gli spogliatoi. Con attenzione. Perché non debba farlo nessun altro. Perché nessuno si prende cura degli All Blacks. Sono gli All Blacks a prendersi cura di se stessi.”

Questo aneddoto presenta molte analogie con il monito di MCRaven (ne avevamo parlato la settimana scorsa): se vuoi cambiare il mondo inizia con il rifarti il letto.

Kerr ne enfatizza il carattere di disciplina personale. Un altro leggendario giocatore del passato degli All Blacks, Andrew Mehrtens, spiega con grande forza che cose come questa: “Ti insegnano a non aspettarti le cose pronte. Non è previsto che qualcun altro faccia il lavoro al posto tuo.”

È qualcosa a mio avviso di prezioso e imprescindibile se si vuole fare La Grande Differenza. Dalla vita personale alle grandi organizzazioni, prendersi la responsabilità fa sempre pendere l’ago della bilancia. Ed è una storia anche di umiltà o mancanza di presunzione che non deve mai mancare ai leader.

I leader di successo bilanciano l’orgoglio con l’umiltà; orgoglio assoluto nella performance; umiltà totale di fronte alla grandezza del compito.

Eredità

“Quando un giocatore entra negli All Blacks, gli viene consegnato un bellissimo libriccino nero, rilegato in pelle. Sulla prima pagina c’è l’immagine di una maglia, quella degli Originals del 1905, la squadra con cui ebbe inizio questo lungo whakapapa. Alla pagina successiva c’è un’altra maglia, quella degli Invincibili del 1924; su quella dopo, un’altra maglia ancora e così via fino a quelle attuali. È un whakapapa visivo, dal significato stratificato, un’eredità in cui entrare. Le pagine successive di questo libriccino ricordano i principi, gli eroi, i valori, gli standard, il codice d’onore, l’ethos, il carattere della squadra. Tutte le altre pagine sono bianche, in attesa di essere riempite. Significano che è il momento di lasciare il tuo segno, di dare il tuo contributo. È il momento di lasciare un’eredità. La tua. Questo è il tuo momento.”

Mi sono permesso di citare questo lungo passaggio perché trovo davvero utile condividerne il concetto. Specie un’epoca che esalta la “follia” più che la creatività, l’essere “disruptive” a tutti i costi – termine che tra l’altro viene quasi sempre viene male inteso – è importante ricordare le origini, la cultura, l’eredità. Mi viene in mente il capitale umano lasciatoci da un visionario come Adriano Olivetti ma anche, parlando a livello personale, da tutti i capi con i quali ho avuto la fortuna di lavorare.

Sapere da dove vieni e che adesso TOCCA A TE, che è il tuo momento, sono un potente incentivo all’azione e alla Grande Differenza.

Infine, c’è anche un altro aspetto di queste parole, che va oltre le dinamiche aziendali. Kerr ne parla nel capitolo XIV, WHAKAPAPA.

“E tāku mōkai, he wā poto noa koe i waenganui i te wā kua hipa me te wā kei tū mai.”

Traduzione: “Non sei altro che un briciolo di presente in mezzo a due eternità, il passato e il futuro.”

“Sii un buon antenato. Pianta alberi che non vedrai mai.”

Riscoprire, riappropriarsi, fare leva sull’Eredità significa anche ricordarci di essere umani e forse riuscire ad ottenere un successo che vada oltre il nostro piccolo pezzo di terra e oltre questi giorni. È La Grande Differenza. 

Au, au, aue hā!
È il nostro momento! Il nostro momento!

Vi lascio con alcuni proverbi Maori raccolti nel libro e spero che questa lettura possa esservi utile.

Per leggere il libro completo, lo trovate qui.

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