Non eravamo poi così i cattivi, noi cresciuti negli anni ’80.

In Graffi sull'anima
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Non eravamo poi così cattivi, noi cresciuti negli anni ’80. Forse un po’ distratti, ma non cattivi. Ora,trattati come dei macachi in una gabbia, cui non si devono più dare le noccioline, “che magari si soffocano e muoiono e poi ci tocca impagliarli”.

Ora, soggetti di trasmissioni televisive ruffiane, dove passiamo per individui incapaci di pensare a un mondo senza i calzini di Naj Oleari.
Tirati in ballo per tutte le catastrofi che hanno turbato il mondo, dallo scioglimento dei ghiacciai per il riscaldamento globale, fino ai delfini spiaggiati in Toscana.
Forse perché penosamente ci associano ancora al Tartufone Motta e al Grande Pennello Cinghiale.
O forse perché ci viene da battere il tempo quanto ascoltiamo “You spin me round” dei Dead or Alive, senza domandarci se il cantante fosse troppo furbo o troppo idiota.
Ma come eravamo davvero?Forse non eravamo la “meglio gioventù” di tutti i tempi e di certo non si può mescolare tutto, come nei coloratissimi cocktail di quegli anni.
E cercherò di non mescolare nulla e di ricordare qualcosa, pochissimo in verità, di quello che ci legava come un nastro colorato fluo.
Quante cose salterò.
Ma che importa.
Chi deve capire capirà.
Il resto si perderà come le lacrime nella pioggia di Blade Runner o come quando Patrick Swayze se ne va in Dirty Dancing.
Cercavamo un posto bello, dove si facesse sempre festa.
E per cercarlo eravamo pronti a correre avanti e indietro su motorini sgangherati e truccati, rincorsi dai vigili urbani.
Ci guardavamo male fra Punk, Dark, Amanti dei cantautori, dell’Heavy Metal, della Disco e anche noi cercavamo un’identità che nessuno aveva ereditato da mamma o papà.
Eravamo digiuni di tutte le nuove cose che nascevano e, per quanto mi sforzi, non riconosco un peccato mortale nell’avere ascoltato tutta quella musica, visto tutti quei video e amato il cercare di vestirci in modo stravagante.
Adesso è facile trattarci da imbecilli.
Adesso che c’è Wikipedia e tutto è collegato è facile.
Ma noi prendevamo la corriera e usavamo i gettoni telefonici.
Ma noi abbiamo comprato il disco “Do they know it’s Christmas?”.
Ma noi al Live Aid ci credevamo.
Noi leggevamo speranze ovunque, nei testi dei Simple Minds e persino in quelli dei Tears for Fears e forse anche in quelli di Lionel Richie.
Noi, eravamo i primi da sempre in questo Paese, a capire un po’ d’inglese e ci sembrava l’esperanto di un universo possibile, anche se l’inglese serviva solo a ripetere i ritornelli di” di All night long”.
Eravamo entusiasti per ogni cosa.
Perché ogni cosa era nuova e mai vista prima.
Come si fa a non essere entusiasti?
Lo so sembriamo cattivi ora, cinici ora, impigriti e poltroni ora.
E un po’ lo siamo davvero.
Il tempo è un grande sabotatore, ma lo è da sempre, e lo sarà anche con voi.
Facciamo ridere, nella nostra gabbia da macachi, perché alla nostra età pensiamo ancora che curare il fisico o l’estetica sia importante e combattiamo contro il dilagare insistente e invincibile degli anni che passano.
Provate a liberarvi voi dall’imprinting  di Schwarzenegger e di Rocky Balboa.
Lo so, quello che passa perde ed ha sempre tutte le colpe, ed io non sono qui a chiedere perdoni impossibili e magari anche immeritati.
Mi andava solo di lasciare due righe per ricordare, almeno a quelli come me, che non eravamo cattivi.
Eravamo solo davanti ad un mondo che si schiudeva come un fiore mai sbocciato prima e volevamo solo annusarne il profumo, più che potevamo.
Non pensavamo a tutte le conseguenze e forse, più cicale che formiche, abbiamo sperperato.
Ma non eravamo cattivi.
Speravamo di non invecchiare mai, di ballare con Madonna per sempre.
Abbiamo sbagliato, come hanno sbagliato quelli prima di noi.
E come sbaglierete voi.
Però, come diceva Abbie Hoffman difendendo i ragazzi degli anni ‘60:
“Eravamo giovani, eravamo avventati, arroganti, stupidi, testardi.
Ma avevamo ragione”.
Ecco, io direi, senza essere banale, che questo si applica a tutti i giovani.
Hanno ragione.
Perché fanno quello che possono con quello che possono.
E sbagliano come tutti quelli che ci provano.
Ma hanno ragione, per il solo fatto che ci provano.
E poi in retrospettiva è facile dare loro dei coglioni.
Una volta i giovani eravamo noi.
Ed abbiamo fatto quello che potevamo, con quello che avevamo.
Che non era la guerra del Viet-Nam, ma nemmeno solo il Ciribiribì Kodak.
Beh, tutto qui.
Forse non servirà averlo scritto, ma per quelli come me potrebbe essere una pacca sulla spalla.
Non eravamo cattivi.
Tutto saremo stati, ma non cattivi.
Speravamo di redimere il pianeta partendo da ognuno di noi.
Adesso sembra solo edonismo, ma non è così semplicistico.
C’era in ognuno la convinzione di potere essere di più, oltre che avere di più.
La sensazione di possibilità oltre l’ostacolo e si conclude con il lieto fine del “dove c’è Barilla c’è casa”.
Si, è naif e vi fa ridere.
Ma per noi che avevamo assaggiato di rimbalzo i ringhiosi, conflittuali e comunitari anni ’70, non ne volevamo più sapere di correre tutti nella stessa direzione.
Non eravamo cattivi.
Forse ingenui e pieni di quella voglia di dimostrare di essere i migliori che arriva con gli ormoni.
Beh.
Gli ormoni sono passati e assieme a loro, anche quella voglia di primeggiare.
Eravamo geneticamente modificati per competere, questo è vero, ma fidatevi, ormai stiamo perdendo, con i capelli, la grinta, e chissà poi se è proprio un bene.
Non c’è bisogno di abbatterci, ci penseranno il colesterolo e la pressione alta.
Addirittura, se non ci rinchiuderete nella gabbia dei macachi, potremmo anche venirvi utili.
Non fosse altre che per tenervi buoni i bambini cantandogli “Der Kommissar”.

“I have spoke with the tongue of angels
I have held the hand of a devil
It was warm in the night
I was cold as a stone
But I still haven’t found what I’m looking for” 

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