Momenti che contano

In La Grande differenza, Libri per La Grande Differenza
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Immagina di essere al cinema e all’improvviso vedere una donna che si alza di scatto, rifila una sberla all’uomo che le siede accanto ed esce velocemente dalla sala. Cosa sarà successo?

Una persona, magari impegnata come assistente sociale e alle prese con continue violenze sulle donne, ne deduce che la protagonista abbia subito qualche torto e si sente soddisfatta dalla forza di reazione messa in mostra.
Un uomo che ha appena perso il lavoro, sconfortato e ormai convinto della deriva di questa società, inizia a pensare che non ci sia più via di uscita. Chissà che cosa di terribile avrà fatto il protagonista maschile.
Un adolescente è invece perplesso. Probabilmente l’uomo avrà fatto qualche battuta assolutamente fuori luogo ma comunque non c’era bisogno di una tale sceneggiata.
Ogni ipotesi formulata è dettata dall’esperienza personale e non dalle informazioni che abbiamo in merito all’evento.

Come scrisse il filosofo esistenzialista Kierkegaard: “Viviamo in avanti ma capiamo all’indietro”.

Un grande contributo nello spiegare questo fenomeno è stato offerto dallo psicologo Albert Ellis, che indicò come modificare e cambiare i nostri sentimenti e comportamenti mediante ragionamenti logici e deduttivi. Distaccandoci quindi all’emotività.

Per riuscirci, una parola chiave potrebbe essere “consapevolezza”.
La capacità di leggere le situazioni per quello che sono, dimensionare e sintonizzarsi adeguatamente senza essere preda dell’emotività è un grande vantaggio competitivo.
Negli affari chi sviluppa questo tipo di capacità, in ambienti mutevoli e di continue alleanze, riesce a cogliere opportunità e risolvere problemi.

Rileggendo “The Power of Moments” (Momenti che contano), dei fratelli Chip e Dan Heath, si viene catapultati proprio dentro questa dimensione.
È un libro snello ma ricco di contenuti e consigli che aiutano a prendere consapevolezza dei “momenti” e soprattutto a distinguere “quelli che contano”.

Gli autori hanno il merito di offrire una sistematizzazione molto funzionale.
Individuano innanzitutto 4 tipi di “momenti”:
· Momenti di elevazione;
· Momenti di intuizione;
· Momenti di orgoglio;
· Momenti di connessione.
E per ogni tipologia di momento individuano tre fasi che li caratterizzano costantemente:
· Le transizioni
· le pietre miliari
· le buche (momenti negativi che vanno riempiti per essere superati)

Iniziare a comprendere la “struttura” e la specificità dei momenti, ci porta dunque a cogliere vantaggi e opportunità o risolvere e affrontare problemi.
Così come, conoscere il funzionamento, permetterà di ricreare momenti specifici, che contano, a nostro vantaggio.

Iniziare a ragionare per momenti

Non è mia abitudine togliere il piacere della lettura rivelando troppo, e, in questo caso, “Momenti che contano” si presta pochissimo a una sintesi superficiale.
Quindi qui voglio condividere alcune riflessioni sui due capitoli iniziali per incuriosire i lettori.

Nota: dal sito di Roi Edizioni è possibile scaricare gratuitamente proprio questi due capitoli.

La prima osservazione è chiederci perché tutti ricordiamo cosa sia successo l’11 Settembre – senza neanche dover dire l’anno – e ricordiamo a stento o per niente cosa abbiamo il 20 Luglio dello scorso anno – a meno non sia nata/o nostro/a figlio/a.
Trasferendo il tutto su un piano imprenditoriale e aziendale, dovremmo applicare la stessa attenzione al “primo giorno” in azienda; sia come neoarrivati sia come manager che gestiscono l’on boarding.
Per quanto possa essere un giorno come gli altri, uno su migliaia se rapportato a un’intera carriera, questo è un giorno determinante perché non si ha mai l’opportunità di fare una seconda buona prima impressione.

La vita è fatta di momenti, alcuni molto più “pesanti” di altri.
Il libro è corredato da esperimenti e studi che lo dimostrano e che hanno la capacità di richiamare altrettante esperienze al lettore.

“Considerate un esperimento in cui si chiedeva ai partecipanti di sottoporsi a tre esperimenti dolorosi. Nel primo, dovevano immergere per 60 secondi le mani in secchi di acqua ghiacciata, a –14 °C. (Tenete presente che, a parità di temperatura, l’acqua sembra sempre più fredda dell’aria).
Il secondo esperimento era simile al primo, solo che dovevano immergere le mani nell’acqua ghiacciata per 90 secondi anziché per 60, e negli ultimi 30 secondi, la temperatura dell’acqua saliva improvvisamente a 20 °C. Quel mezzo minuto finale era sempre doloroso, ma molto meno insopportabile per quasi tutti i partecipanti. (I ricercatori cronometravano il tempo al secondo, ma non dicevano ai partecipanti quanto tempo era passato.)
Nel terzo esperimento, i partecipanti potevano scegliere tra la ripetizione della prima esperienza o la ripetizione della seconda.
È una domanda facile: in entrambi i casi bisognava sottoporsi a 60 secondi di identica sofferenza, ma nel secondo esperimento si aggiungevano 30 secondi appena un po’ meno dolorosi. È un po’ come chiedere a qualcuno: “Preferiresti essere preso a cazzotti in faccia per 60 o per 90 secondi?”
Ciò nonostante, il 69% dei partecipanti ha preferito la prova più lunga.
Gli psicologi hanno individuato le ragioni di questo risultato sconcertante. Quando valutano un’esperienza, le persone tendono a dimenticarne o a ignorarne la durata – un fenomeno che va sotto il nome di “duration neglect”. Sembrano piuttosto valutare l’esperienza in base a due momenti critici: il migliore o il peggiore, il cosiddetto “picco”, e la conclusione. Gli psicologi la chiamano “regola picco-fine”.
Perciò, nei ricordi dei partecipanti, la differenza tra 60 e 90 secondi è venuta meno. Ecco in cosa consiste la duration neglect. Si ricordano solo che l’esperimento più lungo si è concluso più gradevolmente di quello più breve. (Entrambi, detto per inciso, avevano più o meno lo stesso picco doloroso, intorno al sessantesimo secondo.)

Momenti e umanità

Oltre ai tanti stimoli che questo libro fornisce al lettore, alcuni spendibili in azienda, sul lavoro, nella creazione di prodotti e servizi, mi piace pensare che il messaggio principale sia anche e soprattutto un richiamo all’umanità. Probabilmente per i robot un momento vale l’altro. Per noi umani no.

C’è un caso personale che mi è tornato in mente rileggendo questo libro.
Qualche mese fa stavo andando a tenere un workshop in occasione di un evento. La sede distava qualche centinaio di chilometri e come sempre ho l’abitudine di prendere un caffè all’ultima stazione di servizio prima dell’uscita autostradale. Bere “quel caffè” è anche il momento in cui riordinare i pensieri, pre-immaginare il mio intervento e concedermi qualche minuto di pausa dalla guida.
Quel giorno il workshop era incentrato sul costruire risultati solidi in una società liquida, un format ormai ben definito ed esibito tantissime altre volte. Rispetto ai miei soliti interventi, in platee aziendali e con manager di primo livello, mi sarei trovato davanti giovani uomini e donne con un futuro da creare. Questo mi elettrizzava ma mi poneva anche in una situazione molto più rilassata.
Proprio un attimo prima di pagare vidi un cartello con un’offerta: “Plum Cakes del Mulino Bianco : offerta speciale…”
Ne acquistai di impulso una decina di confezioni e, appena entrato in aula prima di iniziare l’evento, distribuii le merendine ai partecipanti.
L’inizio dei lavori era fissato alle 8,30 e dissi che magari qualcuno non aveva avuto tempo di fare colazione. Ci risi su, condussi l’evento, tutto filò bene.
In serata mi ritrovai una cinquantina di messaggi di ringraziamenti, post che condividevano con più enfasi del solito il mio intervento, un messaggio di grande affetto degli organizzatori.
Non è stato un gesto incredibile ma è stato un gesto di attenzione e celebrazione percepito bene da chi non è abituato .
Mi sembra che si tratti di questo: di momenti che contano e di umanità.
In un’era in cui tutti vogliamo apparire e impressionare, in cui avvertiamo il peso del “tutto è già stato inventato”, comprendere il momento, connettersi a noi e agli altri è ancora La Grande Differenza.

In un’era in cui tutti vogliamo apparire e impressionare, in cui avvertiamo il peso del “tutto è già stato inventato”, comprendere il momento, connettersi a noi e agli altri è ancora La Grande Differenza.

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