Quel cerchio bianco e nero, di due forze incastrate, di due elementi che si rincorrono, quel cerchio che chiamano tao é davvero la forma più esplicativa che abbia mai trovato per descrivere l'ambiente in cui sono cresciuto.
Non è una questione di moda o di esotismo, è che quel cerchio davvero rappresenta la mia infanzia. Quella delle elementari e delle medie per capirci.
E rappresenta la base di quello che sono, la piattaforma su cui tento di mantenermi in equilibrio, come sui vecchi tagadà.
L’avrei compreso solo molto dopo essere cresciuto, che gli orientali ci avevano visto giusto con quel simbolo e non nego che questa scoperta sia stata motivo di recupero di un periodo che ho vissuto con l’ansia del bambino che teme costantemente di fare errori e di deludere qualcuno.
Comprendere che in tutto quel tiro alla fune che si svolgeva attorno a me, c’era in fine dei conti il meccanismo chiave attraverso cui si vive, si progredisce, si muore, mi ha rilassato e ho fatto pace con le tante notti in bianco e le unghie rosicchiate fino a farle sanguinare. Mi ha fatto fare la pace con i pensieri cupi di non essere all’altezza e di essere sempre in qualche modo il responsabile del dolore del mondo.
Io non penso di essere l’unico cresciuto convinto di essere colpevole, senza volerlo, di ogni avvenimento, soprattutto dei più brutti.
Nessuno ti dice di non preoccuparti, qualcuno non ti dice proprio nulla, e i più, ti danno ragione nel sentirti così.
Deve essere la regola del gioco, che tu confondi con la verità quando sei bimbo.
Figlio di un piccolo imprenditore e di una operaia ho sempre avuto la sensazione di essere stato il figlio di due mondi contrapposti e ringhiosi ma anche bisognosi e affezionati l’uno all’altro.
Il mantra di mio padre era quello dei piccoli artigiani degli anni settanta.
” Costruiamo un capannone “.
Alla mia domanda : ” Perché?” La risposta era : ” Perché Artigiancassa ci fa un buon tasso”, al che incalzavo con : “È cosa ci mettiamo dentro?”.
La risposta era: “Vedremo, intanto costruiamo un nuovo capannone, poi qualcosa troveremo da fare”. Il mantra di mia madre invece era quello tipico del dipendente che ha scelto una vita dura ma più sicura, in teoria, : ” Non fare mai il passo più lungo della gamba”.
In queste due frasi è rinchiuso il primo grande cortocircuito mentale e morale in cui mi sono imbattuto e sono rimasto invischiato.
Rischiare o rimanere al sicuro. Sporgersi in avanti o salvare il salvabile.
Alzare la mano perché si crede di avere la risposta o fare finta di niente perché magari è quella sbagliata.
Che faceva da contorno a questa girandola devastante e fatta di filo spinato, angosciante come un campo minato c’era la questione dei clienti.
Sì, perché va detto che la mia mamma lavorava come operaia nella nostra fabbrica, e dico fabbrica perché era proprio una fabbrica, e non una azienda come siamo abituati a chiamarle ora, E quindi il cortocircuito era ancora più micidiale.
Padre Padrone e Madre Operaia.
I clienti come Gesù Bambino.
I clienti erano per definizione l’Alfa e l’Omega, i dissennatori di Henry Potter e l’angelo custode della preghiera, il chiaro speranzoso dell’alba e il buio minaccioso dell’imbrunire.
Far star bene i clienti, avere timore dei clienti.
Compiacere e sapere rifiutare le offerte troppo esose.
Questo bianco e nero, questi due atteggiamenti contrapposti, ambivalenti, vivevano sotto lo stesso tetto, non solamente in famiglia ma anche durante la giornata lavorativa.
Esistevano due tipi di giornata per me, che come ogni bambino vivevo la vita in funzione di quello che capivo dai comportamenti e dagli atteggiamenti degli adulti attorno a me.
I giorni in cui vedevo delle facce felici, sia quella di mamma e di papà, e i giorni in cui vedevo facce meste e incupite.
Cercavo un elemento che spiegasse questi due umori.
Era colpa mia? Avrei dovuto studiare di più? Comportarmi meglio con i miei fratelli?
No. Non centravo io.
Era un cosa più grossa.
E toccava il padrone e l’operaia. L’avventuroso e la prudente
Nonostante avessero due approcci antitetici verso la vita lavorativa li accomunava la medesima reazione a certi eventi.
E gli eventi riguardavano sempre “i clienti”.
Osservavo, ascoltavo, tentavo di capire.
L’unica correlazione che riuscivo a fare era che i miei genitori mi dicevano, nel primo caso, che c’erano ordini e nel secondo caso che non c’erano ordini.
Ecco.
Il motivo era questo.
Se c’erano ordini eravamo tutti felici.
Se non c’erano ordini eravamo tutti tristi.
Ora, nella testa di un bambino le domande frullano come farfalle dietro al vetro di una finestra.
Da cosa dipendeva questa storia degli ordini?
Che ordinava?
Quando arrivavano i clienti?
Perché a volte ordinavano e a volte no?
Ma soprattutto perché dovremmo essere felici o tristi a seconda della situazione?
Al tempo non avevo le risorse che ho incontrato per strada.
Non capivo le regole del mercato.
Non avevo compreso che gli ordini erano funzione e risultato di azioni più o meno complesse.
Che gli ordini rappresentavano la mia cartella nuova per il primo ottobre, la pista polistil olè bollette del gas e della luce.
Questa comprensione è arrivata dopo, grattugiandomi il mento contro il brutto che c’è nel buono.
Nessuno mi doveva niente ma nemmeno io dovevo nulla nessuno in questo gioco,
Che non è il gioco dell’amore e degli affetti dove non importa cosa fai.
Quello è il gioco dell’amore incondizionato.
Altro livello .
Questo, del mercato è più banale.
È solo una partita di problemi e soluzioni, da comprare e vendere.
Non nego che abbandonare l’idea romantica di un mondo unico in cui il gioco economico é anche la tua vita affettiva mi ha fatto male.
Pensare che passi la tua vita a giocare a qualcosa per cui potresti anche non essere portato é fastidioso.
Ma il buono che c’è nel brutto é che appena lo capisci sei anche libero di mollare i condizionamenti che confondono la vita vera con il gioco, e dedicarti a giocare meglio che puoi.
Senza i patemi d’animo che da bambino mi assillavano e dedicare i frutti del tuo lavoro a fare stare meglio i tuoi cari o chi ne ha bisogno.
Senza angosciarti nel pensiero che se fallisci sei un fallimento.
Se fallisci é sbagliata la strategia o la tattica del gioco.
Ma tu sei più in alto.
Tu sei lo stratega.
A cui può non andare bene la partita, ma rimane lo stratega.
Ecco il buono nel brutto.
Ecco il brutto nel buono.
O perlomeno questo è un pezzo della mia storia.
E quel poco che ho capito, l’ho capito solo con la pancia.

Manager, Advisor, Autore, Speaker|
Per oltre trent’anni sono stato nel mondo delle vendite, iniziando da agente sino ad arrivare ad occupare posizioni apicali in aziende come Diesel, Adidas, 55DSL, OTB.
Parallelamente ho iniziato ad avvicinarmi al mondo della motivazione e della crescita personale, convinto che spetti sempre a noi prendersi la responsabilità delle nostre esistenze.
Questo mi ha portato a studiare, cercare, testare, risposte ai continui quesiti della vita e del lavoro, come: “Perché alcune persone sono in grado di correre ultramaratone e altre faticano ad alzarsi dal divano?” “E perché le stesse persone che corrono una ultramaratona nel weekend, in ufficio svogliate ti rispondono: Prenditela tu la risma per la stampante?”
Da ormai vent’anni ho fatto di questo il mio lavoro e la mia missione, aiutando individui e organizzazioni a raggiungere gli obiettivi mantenendo la propria umanità.
Alcune delle aziende e organizzazioni con le quali ho collaborato, come formatore e speaker, comprendono: Amway, Banca Mediolanum, Banca Popolare dell’Emilia Romagna, Bayer, Calzedonia, Cassa Centrale ,CNA, Confartigianato, Confindustria, Giuffrè Editore, Herbalife, Juice Plus, Just Italia, JUUL, LIoyd’s, Liu·Jo, Lotto, Nespresso, Revlon, Scavolini, Sony Italia, UNIPD, Wella e molti altri.