La Grande Differenz@: visto che è 26 Novembre, parliamo di Donne

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Oggi è 26 Novembre, un giorno come tanti, il giorno ideale per parlare di Donne, di inclusione, di violenza, di gap. Un gap che a vedere le statistiche non si ridurrà presto, anzi. Le ultime stime rettificano, al rialzo, prevedendo che il gender gap si azzererà non in 171 ma in 217 anni. Noi non ce li abbiamo ma dobbiamo comunque fare qualcosa.

L’Assessorato alle Pari Opportunità del Comune di Lonigo e Federazione Italiana Donne Arti Professioni e Affari mi hanno onorato di un invito per un incontro sul tema della violenza che si genera sul posto di lavoro e nell’economia ai danni del genere femminile.

Ho cercato un punto di vista che non fosse solo l’ovvia condanna del fenomeno ma anche di supporto pratico e calato nella realtà lavorativa di ogni giorno.

La Grande Differenz@

“L’uguaglianza è un mito, e per qualche ragione, tutti accettano il fatto che le donne guadagnino meno soldi degli uomini.”

Il virgolettato non è di Virgina Wolf ma di Beyonce. Anno 2018.

Per certi versi siamo ancora fermi al peccato originale e all’equivoco originale. Eva, più che il serpente, tenta e instilla il peccato in Adamo. Eva, “costola di Adamo”, che dà il via a una serie di sventure, tra cui la cacciata dall’Eden, il parto con dolore e il fatto che l’uomo, d’ora in avanti, dovrà guadagnarsi il pane con il sudore della fronte.

Così è stata raccontata la storia tanti anni fa e l’ottica di una femmina in veste di essere umano in teoria uguale ma in effetti un po’ meno uguale al maschio e inoltre anche responsabile della perdita dell’Eden ci ha portato a frasi  di questo tipo:

“Le bambine cominciano a parlare e a camminare prima dei maschi, perché l’ erba cattiva cresce sempre più in fretta del buon raccolto” Martin Lutero 1533

“La mente dell’ uomo è di marmo, quella della donna di cera” William Shakespeare, 1594

“L’ uomo deve essere addestrato alla guerra, la donna al riposo del guerriero: tutto il resto è stupidità…” Friedrich Nietzsche, 1883

Tanto più gravi e distruttive quanto più espressioni di menti che in altre occasioni diedero prova di grande genio. E si potrebbe proseguire. Di sicuro, l’immagine che ancora oggi abbiamo, non è di prima donna “intraprendente” ma di peccatrice.

Quanta strada fatta

Di carattere oggettivo, e meno confutabile, è il fatto che nonostante tutti i passi avanti siamo ancora indietro. Ci pensavo rileggendo alcune delle “invenzioni” che hanno fatto l’economia moderna, secondo Tim Harford, e che coinvolgono le donne.

Tre su tutte: il latte in polvere, l’innovazione in cucina (i Tv-dinner come li chiama l’autore che sono quei pasti precotti solo da scaldare in microonde particolarmente famosi dagli anni ’50 negli Stati Uniti) e la pillola anti concezionale. Tre novità che, in periodi diversi, hanno slegato la donna dal ruolo secondario, domestico, e le hanno permesso di entrare nel gioco del mercato e della società.

Il latte in polvere, così come i Tv dinner, hanno permesso alle mamme di assentarsi meno dal luogo di lavoro e, in parte, di delegare ai compagni l’alimentazione dei bimbi e della famiglia. La pillola, permettendo di controllare e gestire la propria sessualità, ha permesso alle donne di avviare definitivamente l’ingresso nel mondo accademico e del lavoro qualificato.

Certo che questi fatti non hanno rimosso il problema del trattamento discriminatorio ai danni di tante donne, in quanto sono invenzioni che mettono le donne nelle condizioni dei maschi (non procrei, non fai da mangiare, non allatti) ma che non sistemano il mondo del lavoro in modo che le femmine possano partecipare al gioco economico senza trasformarsi in uomini.

Auguri e figli maschi!

Rileggendo la storia c’è anche un altro fatto, curioso, che sembrerebbe “pareggiare” i conti. Nel 1970 lo scienziato Ronald Ericson riuscì a mettere a punto un sistema in grado di influenzare, con altissime probabilità, il sesso del nascituro. Un’invenzione accolta con grande entusiasmo da molti in quanto velato suggerimento a mettere al mondo figli maschi. Eppure, anni dopo, nel 2010, lo stesso Ericson si dovette ricredere sulla bontà della sua invenzione. Non tanto per la scarsa efficacia quanto per un particolare a quei tempi imprevedibile: in maggioranza venivano “richieste” femmine, e, in genere erano le donne a decidere.

Ma questo aneddoto, per quanto rincuorante non sistema le cose.

I numeri parlano chiaro

Oggi, solo 26 donne ricoprono ruoli di amministratore delegato presso le aziende di Fortune 500, pari al 5,2% della popolazione femminile, secondo un rapporto di Pew Research. Le statistiche restano praticamente le stesse per le donne CEO di Fortune 1000, in questo caso al 5,4%. In Italia la situazione non è migliore: le posizioni manageriali sono per il 78% occupate da uomini. Le donne impiegate a qualsiasi titolo rappresentano solo il 46%.

Ma il problema serio rimane il pregiudizio. Siamo ancora fermi qui.

La “pena della maternità” e il “premio della paternità” sono fenomeni ben conosciuti nella letteratura sociologica. Le ricerche hanno dimostrato che le madri sono soggette a una penalità salariale netta del 5-7% per bambino e sono spesso percepite come meno competenti e meno impegnate. Al contrario, alcune ricerche suggeriscono che gli uomini ottengano benefici dal diventare padri e potrebbero registrare un aumento della retribuzione, oltre a un miglioramento della percezione sul posto di lavoro. (Fonte)

Un gioco da uomini

Il gioco economico è un gioco fatto su misura dei maschi.

La parte deprimente di questo fenomeno è non tanto che in un “gioco da uomini” si parli da uomini (le palle, gli attributi, niente femminucce, prendersi le responsabilità come un uomo, ecc.), quanto il fatto che per vincere pare sia necessario essere uomini o comportarsi come tali.

Secondo un recente studio di Stanford GSB: nel mondo degli affari, donne che sono aggressive, «mascoline», hanno maggiore probabilità di ottenere successo.

Tesi che sembra confermata guardando alcuni casi di successo celebri o come fa notare Blema Steinberg, in Women in Power, analizzando i tratti psicologici di donne come Indira Gandhi, Golda Meir e Margaret Thatcher.

Ancora più eclatante è il caso di Catherine Nichols che per avere successo dovette fingersi uomo.

Catherine, blogger e scrittrice, non riusciva in nessun modo a trovare un editore o qualcuno che prendesse sul serio i suoi scritti. Un giorno, in un momento di disperazione e goliardia, inviò un messaggio a un editore firmandosi con il nome, maschile, di George. Dopo pochi minuti, non solo qualcuno rispose ma si congratulava addirittura. con lui (cioè lei) per la brillante scrittura.

Decise dunque di portare avanti l’esperimento in modo sistematico. Il risultato? “George ha inviato 50 domande e il suo manoscritto è stato richiesto 17 volte. Il mio solo due” riporta l’autrice.

Altra cosa interessante è che gli editori ed agenti si esprimevano in modo lusinghiero con George elogiando il suo stile mentre tendevano a criticare quello di Catherin.

Numeri violenti

Cos’altro? In generale il dato è che le donne devono faticare di più. La discriminazione e la violenza va dal non assumere una donna perché non ritenuta idonea a una posizione maschile o non promuoverla per lo stesso motivo, al consigliare l’abbigliamento o dividere tra compiti maschili e femminili.

Una situazione diffusa a livello globale.

Microsoft, tra il 2010 e il 2016, ha visto presentate oltre 238 reclami al dipartimento risorse umane, delle quali 108 denunciavano molestie sessuali e 107 discriminazione di genere.

Nel 2001, sei dipendenti di Walmart fecero causa sostenendo di essere state discriminate in termini di stipendio, bonus e formazione. La causa fu poi modificata in class action in quanto si trattava di un comportamento ritenuto sistematico e che, a questo punto, coinvolgeva 1,5 milioni di dipendenti. Si proseguì sino al 2011 quando la Corte Suprema, rovesciando le sentenze precedenti, affermò che le donne non condividevano abbastanza da poter ammettere una causa collettiva. Notizia recente: la Commissione Federale per le pari Opportunità ha intentato una causa, collettiva, contro Walmart.

Computer Sciences Corporation è stata citato in giudizio da un ex dirigente di alto livello, licenziata dopo aver identificato e lamentato il modello e la pratica della discriminazione di genere e delle molestie sessuali. Le fu detto di smettere di lamentarsi. Non lo fece, e fu licenziata nel 2012.

In Italia la situazione sembra essere altrettanto grave ma solo il 3% delle donne denuncia la situazione. (Fonte Alessandra Menelao, responsabile dei centri di ascolto mobbing e stalking UIL)

Un ultimo punto focale, dal momento che ieri si “celebrava” la Giornata contro la violenza sulle donne, è la questione legata alla carriera e allo stipendio.

In Italia, la percentuale di 30-34enni con un titolo di studio terziario è del 32,5% per le donne rispetto al 19,9% per gli uomini (Istat 2017) e le performance accademiche femminili sono migliori a parità di percorso di studi (Almalaurea 2017). Subito dopo la laurea, il divario si ribalta: solo il 59,2% delle donne neolaureate lavora contro il 64,8% per gli uomini (Istat 2017).

Secondo l’Onu: “Le donne guadagnano il 23% meno degli uomini e recenti stime affermano che con ogni nascita le donne perdono in media il 4% del loro stipendio rispetto a un uomo; per il padre il reddito aumenta invece di circa il 6%.

Anche i partner possono diventare degli aguzzini economici in casa con la verifica degli scontrini della spesa, con le continue critiche, al divieto di lavorare o possedere un’automobile. Ma anche non rendersi disponibile per tenere i bambini o altri stratagemmi che impediscono alle donne di crearsi una carriera e una rendita.

Tutto ciò fa parte della violenza finanziaria.

“Esiste una correlazione diretta tra la violenza fisica o psicologica e violenza finanziaria”, afferma Vivian Riefberg, senior partner di McKinsey & Company “Le donne che subiscono violenza probabilmente vedranno un impatto sul loro potenziale di guadagno a causa della perdita di produttività e dei giorni di lavoro persi”. E saranno così ancora più succubi dei compagni.

Nonostante si parli di gender gap e sembra di essere tanto vicini, la situazione è ancora più grave. Dati alla mano, stiamo andando indietro. Invece di impiegare solo 170 anni per colmare il divario con il nostro attuale tasso di “progresso”, ci vorranno ora 217 anni.

Come fare la Grande Differenz@

Ciò che serve è una legislazione che provveda a difendere le donne e parificare le opportunità. Ma il mio mestiere è quello di puntare intanto a fortificare le donne (ed anche gli uomini) quanto a capacità di produrre risultati economici.

Obiettivi chiari e quindi chiedersi che vita si vuole condurre in prospettiva aiuta a chiedersi che competenze acquisire e a focalizzare risorse di tempo che altrimenti la vita quotidiana assorbirebbe.

Le donne si muovono tra molteplici richieste sia sul piano lavorativo che su quello affettivo.

Serve chiarezza per dire: “No, grazie, ho altri piani”.

Capacità di generare una rete di relazioni in modo professionale ed imparare a raccontare e persuadere sono altre due suggerimenti che mi permetto di dare.

Mi scriveva una lettrice in cerca di lavoro dopo la separazione, la sua frase: “Non so come conoscere persone, sono sempre stata in casa” mi ha fatto più male di uno schiaffo.

Non è difficile, ma serve metodo ed organizzazione, oltre al coraggio di fare il primo passo.

Capacità di convincere. Una rete di persone a su cui fare correre i propri messaggi e attraverso cui riceverli. Gli obiettivi economici si realizzano solo quando sei attiva socialmente.

In ultima contaminarsi. Per guadagnare punti di vista diversi.

Non è normale che sia normale guadagnare meno perché sei femmina.

Non è normale che sia normale essere assistente a vita perché sei donna.

Non è normale che sia normale fare un figlio e perdere il posto.

Questo, quando guardi in giro, studi e impari, hai contatti con ambienti diversi ti appare più chiaro.

E la chiarezza di ciò che può essere la realtà, assieme con la chiarezza di ciò che vuoi dalla vita sono le condizioni essenziali per non subire violenza.

Fare La Grande Differenz@, pensando oltre le dinamiche di business e andando verso una responsabilità più grande. Riconoscendo tutti, dal management alla singola risorsa, che si tratta di qualcosa di fondamentale, fondante, urgente.

Il mio consiglio alle donne, è sempre uguale: un giorno andrà meglio, il mondo sarà migliore e giusto e si deve cambiare tutto e tutti ma intanto tu fai.

Muoviti, non fermarti.

È quanto dico ogni giorno anche agli uomini e credo non faccia differenza.

Anzi, forse, è proprio questa La Grande Differenz@

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