Getta i dadi e scegli

In Graffi sull'anima
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Getta i dadi e scegli. Il destino è un po’ così. Spesso non ti chiede testa ma cuore.

Arriva un pezzo alla volta, un mattone dopo l’altro, uno schiaffo e una carezza, in sequenza, senza che nulla di sensato leghi l’uno all’altra.
Il destino ti si presenta non invitato con scenari inediti e profondi come pozzi, ampi come pianure, stretti come cunicoli, melmosi come paludi o secchi come le foglie di platano a novembre.
Laghi sotterranei in cui immergersi e riemergere con meno certezze di quelle che covavi e pareti a picco a cui appendersi nei bivacchi notturni della tua supposta consapevolezza e maturità.
E ci pensi sempre a come mai le scelte sembrano così lontane da quello che volevi, da quello che ti pareva sensato, e come mai alla fine tutto si è incastrato in un quadro spezzettato, ma che un senso ce l’ha, o almeno ce l’ha per te.
Come quando hai scelto la facoltà perché la ragazza della tua vita ti aspettava sognante, all’entrata dell’aula, con i libri stretti al petto e con un cuore che decretava tante decisioni che la testa non raccomandava.
Eppure ci sei. Sei qui anche grazie a quella deviazione.
Grazie a quella curva a gomito, anzi a quella inversione ad “U” rispetto alle tue più sicure sicurezze e certezze.
Grazie a quell’abbandono al dubbio, al forse, al chissà.
Certo, non lo consiglieresti a tuo figlio.
Che tu lo sai ora che gettare i dadi della fatalità è un lavoro da donne e uomini con una buona dose di fegato e scarso senso del pericolo.
Da equilibrista emozionale, da capitano Achab della propria anima, alla caccia della sua sfuggente ma terribile Moby Dick.
Lo sai adesso che ascoltare i battiti del sentimento non è gratuito e occorre possedere una buona dose di Vinavil spirituale, ammesso che tu abbia il tempo di aspettare che si secchi, per re-incollare i frammenti del tuo respiro sparsi lungo il vialetto lastricato dai sassolini tuoi giorni.
Ma allora che senso ha sognare, riflettere, pensare, scrivere, ipotizzare, pianificare, fare previsioni?
Cercare un ordine tra tutte le tesserine del puzzle e ordinarle per colore, per tratto, con i piccoli indizi che intravvedi nella foto sul coperchio della scatola di quella che vorresti fosse il tuo racconto, la tua indimenticabile e struggente commedia che significato può avere?
Nessuna, mi verrebbe da dire a giudicare da tutti i cigni neri che si alzano in volo ogni mattina, da quando apro gli occhi a quando posso rimboccare le coperte di chi amo.
Tutti quei grandi e piccoli incidenti di percorso, quelle urgenze e imprevisti, quei bivi che ti si parano davanti a scombussolare il labirinto in cui ti sembrava di avere colto il filo per uscire.
Già, sembra che tutto sia insensato e destinato a frustrare la volontà.
Ma posso avere un desiderio intimo da trasformare in fede e parlare di me e di quello che sento?
Io voglio disperatamente credere che tutto questo immaginare e disegnare e sospirare e ambire abbia un senso.
Non potrei spiegarmi le vie d’uscita che ho sempre sentito e trovato al termine delle strade prese nei nuovi crocevia della realtà, anche quando tutto era incomprensibile e disperato.
Il conto è sempre tornato, ogni via inaspettata era un viaggio che portava ad altro ma sempre dentro la cornice giusta.
Tutto questo immaginare e disegnare e sospirare serviva a segnare una direzione, a limitare il sentimento di essere un guscio di noce in un oceano di confusione, a dare una parvenza di senso e significato.
Certo non mi ha fatto trovare la certezza totale, che è affare delle religioni o delle ideologie, ma almeno un po’ di temporanea, autonoma e svincolata serenità.
Procura l’energia per agire, per affrontare la sconclusionata parabola di una vita che mica sempre comprendo.
Poi cambiare idea, seguire la pancia, lasciare il tracciato per il non segnato accadrà.
Perché mica tutto è roba mia.
Cambiare significa fare cadere la pallina da una parte e in nessuna di tutte le altre, soprattutto quando non puoi fare altrimenti.
Scegliere significa rendere irreversibile un destino che avevo pensato diverso e che diversamente diverso sarà.
Questo è accettabile e forse inevitabile.
Credo anche che ci voglia una certa dignità per affrontare questi cambi di programma.
Una romantica questione di stile e dignità.
Serve, a mio parere, lo stile e la dignità di chi non si rammarica di come sono andate le cose al tavolo da gioco ed ha giocato meglio che poteva.
Con tutto il fiato che aveva in corpo e le idee che poteva spremere.
Ecco, l’azzardo è accettabile se ho un piano, un progetto, un disegno che lo tsunami che a volte batte le rive dell’esistenza rivolterà e smonterà come una costruzione lego caduta dalla scrivania ed ancora sarò lì forse triste ma non disperato, alla ricerca, ancora una volta di significato.
Il pensiero preventivo, i programmi, i progetti forniscono una cornice al dipinto, dipingerlo è affare mio, sia che finiscano le tempere, che si spenga la luce o che i pennelli si induriscano.
Servono da pista degli autoscontri, dove fare sbattere gli elettroni in orbite casuali e dimostrarmi che so fare fronte alle spinte, alle frenate ed accelerazioni e sorprese che il giro di giostra comporta.
Per me che sono ancora davanti al cancello della facoltà ad aspettare un cenno di una fata per cambiare strada, una cornice serviva e serve ancora.
Tutto ha un senso dentro la cornice, anche il cigno nero che pensavo non esistesse.
Ed è quel cigno nero che il più delle volte mi porterà dove dovevo arrivare.
Solo che ancora non lo so.
E soprattutto ancora non so che sono capace di cavalcare tutti i cigni neri del mondo.

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