L’80% delle persone intorno a noi vede il bicchiere sempre mezzo pieno. Il vostro matrimonio e la vostra impresa non sono invece destinati a durare. La tesi è che non crediate a nessuna delle due affermazioni. E che questo sia un problema.
I divorziati in Italia nel 1991 erano 375.569 ma, nel giro di un quarto di secolo, sono levitati superando quota 1,6 milioni (1.671.534 persone). Negli Stati Uniti, c’è un divorzio circa ogni 36 secondi. Sono quasi 2.400 divorzi al giorno, 16.800 divorzi a settimana e 876.000 divorzi all’anno. Forse non tutti conoscono le presenti statistiche ma una cosa sembra pacifica: quando si tratta di noi pensiamo sempre di essere nella percentuale positiva, quella dell’amore eterno. Lo stesso succede quando pensiamo in termini di imprenditorialità e successo. Come lo si spiega? Siamo portati a pensare in modo ottimistico a livello locale e personale, in modo pessimistico a livello globale.
Ottimismo locale e pessimismo globale

C’è un blog che dal 2015 tiene traccia dell’ottimismo nel mondo. L’obiettivo è monitorare il pessimismo, globale, e confutarlo con prove scientifiche e fatti concreti. L’ultimo articolo pubblicato è del 13 Febbraio 2019 e riguarda la situazione climatica delle isole del pacifico.
Innanzitutto, riporta una notizia apparsa sui giornali che annuncia un rischio imminente.
“Many Pacific islands know that they will soon be inundated”.
Poi confuta la tesi adducendo prove scientifiche che non sia affatto così.
“709 islands, reveals that no atoll lost land area and that 88.6% of islands were either stable or increased in area, while only 11.4% contracted.”
Il lavoro portato avanti da questo blog è notevole ma in un certo senso destinato a “fallire”. Le persone tendono a pensare sempre in termini negativi quando si parla di questioni globali come l’impatto del clima, la fine del mondo, la criminalità, il terrorismo, la situazione economica mondiale.
I media d’altro canto sono sempre attratti e intenti a divulgare notizie piene di negatività.
Per quanto le informazioni non manchino (ne è prova il lavoro iniziato da Hans Rosling e portato oggi avanti da gapminder.org) tendiamo sempre a pensare che le cose vadano male. O vedere il bicchiere sempre mezzo vuoto.
Il paradosso è che ci comportiamo in modo opposto quando si tratta di noi. Nelle situazioni e previsioni personali, siamo caratterizzati da uno stolto e accecante ottimismo.
Secondo il sondaggio di Eurobarometro, circa il 60% delle persone prevede che la propria situazione lavorativa rimarrà la stessa, mentre il 20% si aspetta che la loro situazione migliori. Eppure, la maggior parte delle persone si aspetta sistematicamente che la situazione economica nel loro paese d’origine si deteriori. Lo stesso fenomeno si trova in altri tipi di previsioni e stime.

Ad esempio, le persone pensano che un problema, come la criminalità, per quanto presente in un determinato paese, sia sempre meno diffuso nel proprio quartiere.
Il fenomeno è talmente noto e radicato che l’economista dell’Università di Oxford Max Roser gli ha dato un nome: “ottimismo locale e pessimismo nazionale”. (O anche definito come ottimismo locale e pessimismo globale).
Gli scienziati hanno anche spiegato perché succede. In particolare, Tali Sharot dell’University College di Londra – ha provato che il cervello umano è cablato per ottimismo. Il problema è che questa inclinazione innata si applica solo al proprio futuro, non a quello del proprio paese o del pianeta, e che questo rappresenti sempre un grande problema.
Perché l’ottimismo cieco non funziona
In un momento di grande cambiamento e competizione come quello che viviamo, le ripercussioni di un ottimismo sfrenato sono facilmente comprensibili. Il modo migliore è quello di guardare cosa succede nel mondo imprenditoriale (e ricordiamo, che in qualche modo ognuno di noi, per dirla con Reid Hofmann, è a suo modo un’impresa o una startup).
Il numero di imprese che chiude ogni giorno è in continua crescita.
Solo il 50% delle imprese sopravvive nei primi cinque anni. E non solo le possibilità di sopravvivenza sono ridotte, ma ci sono prove che in media gli imprenditori guadagnino meno di quanto avrebbero guadagnato come dipendenti.
Fonte: https://www.journals.uchicago.edu/doi/abs/10.1086/262131
Perché mai dunque tante persone si ostinano a lanciarsi in avventure imprenditoriali?
La risposta: un ottimismo stolto e accecante. E un’industria colossale, libri, corsi, eventi, che continua a spingere le persone verso obiettivi ambiziosi e fare affidamento che tutto andrà bene.
“Se vuoi, puoi” è la frase che spiega perché persone, che già tendono a sovrastimare le probabilità di successo, si lancino in improbabili avventure.
Di contro, per esperienza, sappiamo che per liquidare un amico che vuole un parere sul suo scellerato progetto imprenditoriale, basta dire “Sì, pensandoci meglio è una grande idea!” La macchina motivazionale risponde a questo bisogno. Per quanto sbagliato.
Le emozioni servono. Tutte.
Nessuno nega l’importanza di pensare positivo. Ci sono anzi tantissimi studi che dimostrano di come un approccio positivo porti a
• Aumento della durata della vita
• Tassi più bassi di depressione
• Maggiore resistenza al comune raffreddore e un generale miglioramento psicologico e fisico
• Minori rischi cardiovascolari
Il punto è però che c’è differenza tra la resilienza e sapere accettare i problemi in modo positivo e mettere invece la testa sotto la sabbia ripetendo che tutto andrà bene.
Le emozioni servono. Tutte. Paura, ansia e anche un certo tipo di pessimismo, realistico o difensivo, producono grandi vantaggi.
Julie Norem, professore di psicologia al Wellesley College, ha ad esempio condotto diversi studi in proposito. La sintesi per quello che ci interessa è che: “Quando le persone sono difensivamente pessimiste, impostano delle aspettative basse, ma poi fanno il passo successivo che consiste nel riflettere in modo concreto e vivido su cosa esattamente potrebbe andare storto. Quello che abbiamo visto nella ricerca è che se lo fanno in modo specifico, vivido, li aiuta a pianificare per evitare il disastro. Finiscono per dare il meglio di sé. E questo le aiuta a trasformare ansia e preoccupazione in produttività.
Qui ci si può sottoporre a un test interessante
Pensare negativo
Ci sono due ottimi libri che vanno in questa direzione e che mi sento di consigliare. Uno, “La Legge del contrario”, presenta in modo anche divertente perché uscire dalla trappola del “tutto andrà bene”. L’altro è forse più concreto e suggerisce un buon approccio per pensare negativo per creare risultati positivi, “Io non penso positivo” di Oettinger.
Qui giusto qualche idea che ritengo davvero utile e interessante.

p.s. Leggi anche immaginare lo scenario peggiore per creare quello migliore
La legge del contrario
Bukerman parte dall’idea che più ci sforziamo per la felicità e altri beni psicologici come sicurezza e sicurezza, meno li raggiungiamo. E così, paradossalmente, pensando ai lati oscuri e agli imprevisti della vita, si ha maggiore possibilità di fare funzionare le cose.
Un passaggio di Alan W. Watts inserito nel libro spiega bene l’idea.
Mi ha sempre affascinato la legge dello sforzo alla rovescia. La chiamo a volte «legge d’inversione». Se cerchi di stare a galla, vai a fondo; se invece cerchi di immergerti, galleggi. […] per contro, la salvezza e la salute mentale risiedono nel riconoscimento più radicale che non abbiamo alcun modo di salvarci.
La cosa che apprezzo molto del libro è che l’autore non cade nella trappola di presentare il pensiero negativo come panacea a tutti i mali ma intende invece stimolare un pensiero critico. Lo trovo molto in linea con la mia idea di “equilibrio dinamico”.
Un passaggio molto bello e che consiglio di leggere con attenzione è dove l’autore parla di «traguardicea», la sindrome per la quale si inseguono obiettivi anche quando chiaramente irraggiungibili e/o sarebbe meglio tornareindietro.
(Nota c’è qualcosa da imparare anche per i manager laddove si chiedono sempre obiettivi smart e si rischia di peccare di irrealismo o di non trovare la lucidità per capire quando gli scenari sono mutati e gli obiettivi sono diventati irraggiungibili.)
Un aneddoto con il quale viene spiegato il concetto è la tragedia del Monte Everest del 1996 che portò alla morte di 8 alpinisti colti da una tempesta durante il tentativo di ascesa alla vetta del Monte Everest.
“Il tempismo è una variabile fondamentale sull’Everest, il che spiega l’abitudine di osservare rigorosamente i cosiddetti turnaround times. Uno scalatore che parte dal Campo 4 a mezzanotte può sperare di conquistare la vetta a mezzogiorno o poco dopo, ma se non ce la fa entro l’orario stabilito per il turnaround – tra mezzogiorno e le quattordici, a seconda delle condizioni atmosferiche e dell’attitudine al rischio del leader del team – è essenziale che rinunci e torni indietro. In caso contrario, rischierà di finire l’ossigeno e di affrontare le condizioni atmosferiche più pericolose al buio. Di fronte al traffic jam sullo Hillary Step, però, i team decisero di procedere ignorando i tempi di turnaround.”
Un altro grande pensiero è quello introdotto con i versi di Memento: la vera sicurezza nasce dall’accettazione incondizionata dell’insicurezza, dalla consapevolezza che non siamo, e non potremo mai essere, su terreno solido.
Se dovessi ricominciare la mia vita da capo […] prenderei l’abitudine di dedicarmi con raccoglimento, ogni sera, a pensieri di morte. Insomma, adotterei la pratica di ricordare la morte. […] Senza un onnipresente senso della morte, la vita è insipida. Sarebbe come vivere di chiara d’uovo. (L’ISPETTORE MORTIMER IN MEMENTO MORI DI MURIEL SPARK)
Qui potrei scriverne a lungo. Sono da tempo un sostenitore della necessità di un Piano B.
Io non penso positivo
“Io non penso positivo” è un libro che parla dei desideri e di come realizzarli. Deve le sue idee a un lavoro di ricerca ventennale nel campo della scienza motivazionale. Presenta un’idea unica e sorprendente: gli ostacoli che secondo noi ci impediscono di raggiungere i nostri desideri più grandi, in realtà possono accelerarne la concretizzazione.”
È un libro da leggere ed assaporare lentamente, che suscita ironia e divertimento ma anche una grande critica di quanto spesso fantastichiamo senza fare. Il punto centrale è sicuramente l’idea del Woop, basata sul contrasto mentale. Il modo migliore per comprenderlo è partire da un semplice esempio, in questo caso uno studio sulla perdita di peso condotto dall’autrice.
Gabriele Oettingen chiese a un gruppo di donne obese che si erano iscritte a un programma di dimagrimento quanto fosse probabile che avrebbero raggiunto i loro obiettivi. Ma Oettingen chiese anche di dirgli come avrebbero immaginato la loro strada verso il dimagrimento – se pensassero che avrebbero avuto difficoltà a resistere alla tentazione, o se non avrebbero avuto problemi a rifiutare le ciambelle gratis nella sala conferenze e un secondo viaggio al buffet a volontà. I risultati furono sbalorditivi: le donne che credevano che avrebbero avuto successo persero facilmente 24 chili rispetto coloro che pensavano che percorso sarebbe stata una passeggiata!
Da questo e altri studi, si sviluppa dunque il pensiero di Oettingen che può essere sintetizzato con l’acronimo WOOP che sta per “wish, outcome, obstacle, plan.”
DESIDERIO – RISULTATO – OSTACOLO – PIANO
Il “nuovo” consiglio è dunque: visualizza il percorso verso il successo e non il successo che intendi raggiungere. E metti subito in evidenza il grande ostacolo anziché ripeterti che tutto andrà bene. La grande sfida è riuscire a portare questa filosofia nella vita di ogni giorno, specie quando si tratta di prendere decisioni.
“Le ricerche suggeriscono infatti che il contrasto mentale viene spontaneo quando ci si sente tristi (e quindi si è più consapevoli dei problemi incombenti) e quando si deve agire in maniera immediata nella direzione di un desiderio.” Il che è uno splendido spot per non buttare via le emozioni negative.”
Dal pensare al Fare
Questi sono due libri che reputo interessanti e che possono aiutare a vedere il bicchiere mezzo vuoto ma soprattutto a metterci nelle condizioni di passare ad agire. A Fare. Buona lettura.

Manager, Advisor, Autore, Speaker|
Per oltre trent’anni sono stato nel mondo delle vendite, iniziando da agente sino ad arrivare ad occupare posizioni apicali in aziende come Diesel, Adidas, 55DSL, OTB.
Parallelamente ho iniziato ad avvicinarmi al mondo della motivazione e della crescita personale, convinto che spetti sempre a noi prendersi la responsabilità delle nostre esistenze.
Questo mi ha portato a studiare, cercare, testare, risposte ai continui quesiti della vita e del lavoro, come: “Perché alcune persone sono in grado di correre ultramaratone e altre faticano ad alzarsi dal divano?” “E perché le stesse persone che corrono una ultramaratona nel weekend, in ufficio svogliate ti rispondono: Prenditela tu la risma per la stampante?”
Da ormai vent’anni ho fatto di questo il mio lavoro e la mia missione, aiutando individui e organizzazioni a raggiungere gli obiettivi mantenendo la propria umanità.
Alcune delle aziende e organizzazioni con le quali ho collaborato, come formatore e speaker, comprendono: Amway, Banca Mediolanum, Banca Popolare dell’Emilia Romagna, Bayer, Calzedonia, Cassa Centrale ,CNA, Confartigianato, Confindustria, Giuffrè Editore, Herbalife, Juice Plus, Just Italia, JUUL, LIoyd’s, Liu·Jo, Lotto, Nespresso, Revlon, Scavolini, Sony Italia, UNIPD, Wella e molti altri.