“Ritirare la ricevuta. Arrivederci”. “Arrivederci”, rispondo lesto pronto come un maggiordomo.
Non mi sono mai liberato da quella pesante coperta di cortesia, quasi obbligata, che si doveva a tutti gli operatori che vestivano una divisa.
Non che non avrei risposto al saluto di chiunque, ma io vengo da un mondo dove la divisa, anche quella di un postelegrafonico contava.
Tipo quando Massimo Troisi indossa orgoglioso il berretto da postino, per andare a portare le lettere degli ammiratori a Philippe Noiret Neruda.
Ecco.
Quel pianeta è da dove arrivo.
Tipo un Mork degli anni ’70.
Allora saluto e ed esco dal casello autostradale, che a me sembra tanto il rubinetto di una tubatura di asfalto, che porta le vite delle persone ad affastellarsi in code e gocciolare poi verso destini diversi, riempiendo bicchieri mai dello stesso colore.
“Arrivederci” penso, e infilo la ricevuta nella graffetta del parasole che gentilmente se ne prenderà cura al posto mio per chissà quanti mesi.
Intanto penso anche che la ricevuta dell’autostrada ha almeno una caratteristica in comune con la talpa.
Esce sempre dal buco da cui te lo aspetti meno.
E puoi anche cambiare buco.
Talpa e ricevuta usciranno dall’altro.
Sorrido. E anche tardi e sono stanco.
Di solito, quando sono in autostrada di notte divento melanconico o comico.
A volte tutti e due.
Questo è il caso.
Però, riflettendo, ho salutato un distributore.
Si, perché negli ultimi tempi, come funghi poco commestibili, sono nati caselli che immaginavo fossero quelli di Blade Runner.
Ad alta automazione si diceva una decina di anni fa.
Adesso nei caselli di alta automazione non c’è nulla, nel senso che non è più alta.
E’ automazione. Punto.
E “automazione” si legge anche “non serve più nessuno, a parte te”.
Già.
Mi viene in mente che ho inserito il biglietto in una fessura, invitato dalla voce di una signora che per quanto ne so potrebbe essere anche mai nata.
Le ho obbedito religiosamente, ho gettato il dovuto nella bocca della macchina alla quale luccicavano le pupille a led, ho ritirato il resto e la solita talpesca ricevuta.
Ho salutato… una macchina.
Che ridere.
Sono proprio andato.
Ma il punto non è questo.
Tutto questo è poca cosa.
Sono solo i pensieri di un poverocristo sempre di corsa da un punto all’altro di un mondo quadrato, fatto di spigoli sempre più taglienti e mimetizzati, di angoli bui e deserti.
Deserti come la cabina del casello.
Ecco. Ecco cosa mi sfuggiva, tra la talpa e la ricevuta, tra la voce della signora mai nata e la sbarra che si alza.
Non c’è l’omino.
Dove è il casellante?
C’è sempre stato. O almeno, io l’ho sempre visto.
Con la sua divisa azzurrina.
Quando ero bambino si favoleggiava del lavoro dei casellanti, dei loro orari brevi e concentrabili, del poco da sapere per farlo, del poco da fare se non ritirare soldi del pedaggio e dare il resto, della loro cassa mutua, delle loro vacanze pagate in parte dalla loro associazione, della pensione in poco tempo, dei loro buonissimi stipendi.
Io nemmeno so se era tutto vero.
Ma a sentire parlare i grandi mi sembrava davvero che fare il casellante fosse un grande affare.
Per tanti anni li osservavo attraverso i vetri del mio e loro abitacolo.
Ce n’erano di tanti tipi di casellanti.
Simpatici ed antipatici.
Ruvidi e morbidi.
Pigri e attivissimi.
Un campionario di un’umanità davanti alla quale sfilava il carosello di un’altra umanità.
Una troppo ferma. Una troppo in moto, forse.
Ma adesso il confronto non c’è più.
E’ tutto cambiato.
Quelli fermi non ci sono più.
Quelli in movimento sì.
Sono ancora in giro per un mondo quadrato.
Quelli fermi adesso chissà dove sono, cosa fanno, cosa dicono.
Quelli in movimento se lo chiedono da sempre.
Adesso tutto è cambiato.
Quando sei troppo fermo, a qualcuno in movimento viene di sicuro in mente di studiarti, come si fa con il bradipo in un documentario del National Geographic.
E ti legge per bene le abitudini, i rituali, cosa fai e come lo fai.
E poi chiede, a un altro tizio in movimento, di costruire una bella macchina, con gli occhi di led e la bocca di acciaio e la voce di una signora mai nata.
Un altro tipo in movimento salda la finestrella che tanto non serve più.
E dal quel giorno il casellante non c’è più.
Ti arrangi da solo e ti saluti da solo.
E riparti, che oggi, non importa se sei talpa o bradipo.
Importante è che tu rimanga in movimento.
Sennò arrivano quelli del National Geographic.
“Arrivederci, grazie”.

Manager, Advisor, Autore, Speaker|
Per oltre trent’anni sono stato nel mondo delle vendite, iniziando da agente sino ad arrivare ad occupare posizioni apicali in aziende come Diesel, Adidas, 55DSL, OTB.
Parallelamente ho iniziato ad avvicinarmi al mondo della motivazione e della crescita personale, convinto che spetti sempre a noi prendersi la responsabilità delle nostre esistenze.
Questo mi ha portato a studiare, cercare, testare, risposte ai continui quesiti della vita e del lavoro, come: “Perché alcune persone sono in grado di correre ultramaratone e altre faticano ad alzarsi dal divano?” “E perché le stesse persone che corrono una ultramaratona nel weekend, in ufficio svogliate ti rispondono: Prenditela tu la risma per la stampante?”
Da ormai vent’anni ho fatto di questo il mio lavoro e la mia missione, aiutando individui e organizzazioni a raggiungere gli obiettivi mantenendo la propria umanità.
Alcune delle aziende e organizzazioni con le quali ho collaborato, come formatore e speaker, comprendono: Amway, Banca Mediolanum, Banca Popolare dell’Emilia Romagna, Bayer, Calzedonia, Cassa Centrale ,CNA, Confartigianato, Confindustria, Giuffrè Editore, Herbalife, Juice Plus, Just Italia, JUUL, LIoyd’s, Liu·Jo, Lotto, Nespresso, Revlon, Scavolini, Sony Italia, UNIPD, Wella e molti altri.
5 Comments
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Sebastiano, io non so come ti vengono queste riflessioni, so solo che nella vena malinconica mi hai fatto ridere.
E mi hai fatto ricordare le risposte automatiche che davo anche io quando avevo le varie tessere Viacard: all’arrivederci della macchina, rispondevo “Ciaaaoo…” (Con “a” e “o” trascinate…).
Adesso che ho il Telepass sto solo attenta al “bep” dell’apparecchio, onde evitare di stamparmi contro la sbarra.
E mi hai fatto ricordare un sabato mattina al casello del Tangenziale Nord, quando i casellanti non erano ancora blindati dietro vetri antisfondamento: con uno di loro feci uno scambio di battute divertente alla presenza di un ragazzo extra-comunitario in cabina con lui (addetto a vari servizi di mantenimento), e ci facemmo delle risate in un momento di calma da ingorghi apocalittici settimanali. C’era anche un altro casellante che parlava stile “menestrello”, spassosissimo ogni volta che lo trovavi sul tuo percorso…
Il mondo cambia, nel bene e nel male. Da un lato ci sono degli evidenti miglioramenti, a scapito forse di una perdita di un pizzico di umanità.
Oh Sebastiano,
condivido appieno le tue riflessioni…
aggiungerei che quello che mi infastidisce di più è che l'”Arrivederci” del distributore automatico appartiene ad una voce femminile.
Ma quanti casellanti femmina ti è capitato di incontrare nella vita?
Fino a 15 anni fa neanche una, negli ultimi anni quanto le mosche bianche e … appena fatta la conquista del casello hanno deciso “Ah no, allora mettiamo un distributore automatico”.
Io in genere non rispondo all’arrivederci automatico perchè mi irrita, ma l’ultima volta sono dovuta tornare indietro in retromarcia perchè mio figlio di 7 anni, che ancora dà un’anima a tutto, piangeva perchè “la signorina si era dispiaciuta!”
Anch’io la saluto sempre la signora, almeno lei è più gentile di altri…
Poi ogni tanto fermo il traffico, perchè le monete mi cadono, non arrivo al pulsante e devo scendere, o qualche altra goffaggine del genere: insomma a mio modo mi muovo. Non vorrei arrivasse il NG.
Buona giornata Sebastiano ! Non ti conosco ed ho ricevuto un invito ad un incontro con te per stasera…quindi ho guardato e letto alcuni tuoi scritti, come il presente, e condivido con te come pure con le signore che mi hanno preceduto ( io sono la 4° donna che commenta il tuo post e non ci sono uomini – chissà perchè ) che ci manca tanto il soggetto umano e che ci manca tanto di piu’ perchè noi l’abbiamo conosciuto… cmq non ricordiamo quando il/la casellante era un po’ troppo meccanico e poco “giocoso” nel suo lavoro e che ci infastidiva quando impiegava un po’ troppo tempo per rispondere al cliente che ci precedeva… condivido con te che ogni tempo ed ogni esperienza ha i suoi lati positivi e negativi e che leggere fino all’ultima parola del tuo articolo, che per me risulta un po’ troppo lungo, può darmi qualcosa.
Lunga vita. Mariangela
…e sentire il babbo autista che esultava quando i casellanti facevano sciopero!