Da zero a uno e da uno a zero: l’importanza di pensare in grande ma anche della lungimiranza

In La Grande differenza, Libri per La Grande Differenza
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Da zero a uno, di Peter Thiel, co-fondatore di PayPal e tra i primi
investitori in Facebook, è ancora un gran bel libro per comprendere il momento
in cui viviamo e approcciarsi al futuro. Mi sento però di consigliarne una
lettura critica, perché non tutto nella vita e negli affari è una questione di
“tutto o niente”.

La Grande Dote: l’ equilibrio (una premessa necessaria)

Il consiglio di lettura di questo venerdì è un po’ diverso dalle altre volte. Mi trovo in Giappone in quella che si può considerare un po’ vacanza, un po’ lavoro. Sto imparando ad abituarmi alla velocità della vita e soprattutto del lavoro, mi affascina la dedizione con cui le persone si impegnano nelle grandi imprese come in quelle piccolissime, il modo in cui digitalizzazione, globalizzazione e disciplina sembrano stare in equilibrio.

Ho appena finito di scrivere “Alternative”, il mio nuovo libro, in pubblicazione a fine Ottobre 2019 da Roi Edizioni; un libro che, come suggerisce il titolo, è tutto incentrato su lungimiranza, prudenza e la capacità di creare piani e opzioni per un futuro liquido e sempre più imprevedibile.

Smaltendo il jet lag ho ripreso in mano “Da zero a uno”, un libro che mi aveva da subito affascinato ma che in questo momento mi sentivo di rileggere in modo diverso.

Il mio giudizio è che si tratti di un libro a tratti illuminante e a tratti abbagliante: illuminante in alcune parti in cui si semplifica e chiarisce questa epoca completamente nuova, abbagliante per il rischio di fornire facili protocolli per il successo.

Ho pensato e penso lo stesso di libri come “Una cosa sola” di Gary Keller. Libri ottimi per sminuzzare la complessità ma pessimi se seguiti alla lettera e senza il vaglio del contesto, della specificità delle situazioni e dell’esperienza.

Più ci penso e più mi convinco che la Grande Dote del ventunesimo secolo potrebbe essere l’equilibrio. La capacità di prendere il buono e scartare quello che meno buono è. La capacità di prendere le distanze quando un’idea, per quanto seducente e ben argomentata, non si incastra con le nostre vite.

O un equilibrio dinamico, cioè la capacità di accettare per buone alcune idee in alcuni momenti ma comprendere quando le situazioni sono così cambiate da essere non più così sagge e profittevoli.

Avevo affrontato un tema simile nella nuova edizione de La Grande Differenza

È una premessa lunga ma doverosa per giustificare le righe che seguono: il consiglio di leggere “da zero a uno” ma anche il consiglio di leggerlo per ragionare e maneggiare con cautela l’idea di “tutto o niente”.

Sintetizzando, ci sono tre punti sui quali consiglio di soffermarsi con attenzione.

Da zero a uno

Da zero a uno, è un libro pubblicato la prima volta nel 2014 ma che è ancora molto aderente alla realtà, prezioso per spiegare alcuni meccanismi e dinamiche che caratterizzano il ventunesimo secolo.

Che cosa è il futuro?

Thiel propone un’idea di futuro basata sul progresso anziché sul semplice avanzare degli anni.

Il futuro, secondo l’autore, è un momento in cui le cose avranno un aspetto completamente diverso da quello che hanno oggi. Con questa definizione, il futuro potrebbe non “verificarsi” per altri 100 anni se non cambia nulla. D’altra parte, il futuro potrebbe venire domani se ci sarà un rapido cambiamento.

È un’idea supportata dalla storia dell’umanità, specie se si riflette su quante e di quale entità siano state le innovazioni degli ultimi cinquant’anni rispetto all’intera storia. Ci sono momenti in cui le cose cambiano completamente e altre in cui piccole modifiche lasciano tutto più o meno come prima; non a caso chiamiamo alcune fasi “rivoluzioni”.

Tecnologia e globalizzazione

Quando cerchiamo di descrivere l’attuale società lo facciamo introducendo due tematiche costanti: tecnologia e globalizzazione. Molti mettono nello stesso calderone l’avvento dei social, degli e-commerce, di Amazon e il mercato globale e l’avanzare dei “cinesi”.

Per quanto spesso tecnologia e globalizzazione vadano a braccetto, c’è però una differenza sostanziale. Utile a comprendere anche come si sviluppa il futuro e come si arriva al progresso. Thiel distingue tra:

Progresso orizzontale, quando si copiano, replicano e scalano cose che già esistono e funzionano;

Progresso verticale, quando si crea qualcosa di completamente nuovo.

L’esempio utilizzato nel libro è tanto semplice quanto efficace.

“Se prendete una macchina da scrivere e ne costruite 100, avete realizzato un progresso orizzontale. Se avete una macchina da scrivere e realizzate un word processor, avete compiuto un progresso verticale.”

Il secondo caso, il progresso verticale, è quello che Thiel definisce passare da zero a uno e ritiene molto più importante e più impattante. Ciò che ognuno dovrebbe cercare.

Casualità e dinamiche del successo

Per quanto riguarda il raggiungimento del successo, in linea con l’idea di progresso verticale, Thiel è ancora più drastico: bisogna cercare di fare cose nuove, avere il coraggio di seguirle e perseguirle.

L’autore propone qui alcuni esempi derivanti dal mondo delle startup del quale è sicuramente un abile stratega e protagonista. Invita al lettore come in questo campo, ma secondo lui ovunque, valga la vecchia regola di Pareto: l’80% dei risultati dipende dal 20% delle azioni e decisioni.

Stando così le cose, il segreto del successo più che nella prudenza sta in una serie di audaci “all in” (puntare tutto). Thiel rende l’esempio con le opportunità perse dal venture capital e da quella che si definisce “legge di potenza”.

“L’errore sta nell’aspettarsi che i ritorni saranno distribuiti normalmente, vale a dire credere che le cattive imprese falliranno, quelle medie resteranno stabili e le buone offriranno un ritorno doppio o persino quadruplo. Avendo in mente questo modello banale, gli investitori assemblano un portafoglio diversificato e sperano che i vincitori bilanceranno i perdenti. Questo approccio detto “spalma e prega”, però, produce di solito un intero portafoglio di flop, con nessun bersaglio centrato. Questo perché i ritorni sul venture capitalism non seguono affatto una distribuzione normale. Seguono piuttosto una legge di potenza: una manciata di imprese sorpassa drasticamente tutte le altre in performance. Se vi concentrate sulla diversificazione invece che sull’individuazione attenta di quelle poche imprese che possono crescere enormemente di valore, prima di tutto perderete queste ultime.”

C’è da dire che Thiel, introducendo quest’idea che fa da cifra a tutto il libro, è molto onesto nel dire che potrebbe non funzionare. Tuttavia, ritiene non ci siano alternative: “È meglio rischiare di essere imprudenti che insignificanti.”

Prudenza, imprudenza e irrilevanza

Nel libro c’è sicuramente molto altro degno di nota e del quale parlare. Molto intrigante ad esempio l’idea del monopolio (forma alla quale aspirare) e della concorrenza (da evitare). Tuttavia, penso la cosa più utile sia riflettere sul nesso tra prudenza, imprudenza e irrilevanza – il rischio cioè di trovarsi in situazioni drammatiche, tagliati fuori dalla società.

Per me questo è un tema troppo importante per non dedicarci qualche riga e il fatto di aver completato un libro che parla di questo, mi porta a ragionare con ancora più attenzione.

Ecco alcune idee che vogliono essere da stimolo a una riflessione che meriterebbe una trattazione certamente più approfondita.

Essere audaci e la ricerca delle cose nuove ad ogni costo

 “Siate folli, siate affamati” di Steve Jobs è probabilmente lo spot più celebre di una mentalità volta al fare grandi cose, al rischiare in grande e ritenere il successo come il raggiungimento di obiettivi alti, anzi altissimi. Quello che si perde è quel tipo di successo, soggettivo, fatto anche da piccolissimi traguardi; piccoli ma consistenti.

Da un punto di vista per così dire umano, c’è il rischio di voler identificare il successo come l’eccellenza a tutti costi. Imitare il successo dei grandissimi anche a costo di cadute dolorose.

Da un punto di vista pragmatico, il rischio è dimenticare che grandissime imprese si sostengono su attività che sono tutt’altro che rivoluzionarie. Per fare un esempio semplice il vendere matite, che esistono da una vita, farlo bene può essere altrettanto redditizio che creare qualcosa di nuovo.

Ci sarebbe anche da obiettare su questo punto, sul cercare a tutti costi qualcosa di nuovo. Nassim Taleb ha da tempo messo tutti in guardia con quel che definisce effetto Lindy:una tecnologia, o qualunque cosa non deperibile, aumenta la propria aspettativa di vita ogni giorno che passa, al contrario dei beni deperibili (come per esempio esseri umani, gatti, cani e pomodori). Perciò, è probabile che un libro che è stato in commercio per cent’anni rimanga in circolazione per altri cento.”

Fallire è un lusso per pochi

Ancora più importante è riflettere sulla prudenza e sulla lungimiranza, sul rischio di predicare “l’all in” come unica strada al successo. Seguendo quest’idea abbiamo purtroppo assistito in questi anni a centinaia e centinaia di casi di fallimento.

L’audacia, quel che viene erroneamente definito per “coraggio” porta moltissimi giovani e meno giovani imprenditori a lanciarsi da arei costruiti frettolosamente e pensare di poter costruire un paracadute al momento in cui si sta precipitando.

Non è purtroppo così che funziona nella vita reale e non lo è soprattutto se calato in un contesto, come quello italiano, in cui il fallimento segna profondamente le nostre vite.

Trovo molto più utile ricordare le parole di James Atlas, giornalista e scrittore, che visse il travaglio di essere licenziato: “Forse non tutti abbiamo il lusso di fallire”.

Già. Non a tutti è concesso di planare con grazia se si spegne il motore del loro aeroplano.

Non a tutti è concesso rigiocare la partita del lavoro o della vita dopo essere incappati in un disastro.

Fallire è un lusso per pochi.

Per la maggior parte delle persone c’è bisogno di alternative.

L’importanza di diversificare

Diversificare, secondo Thiel, è un problema. Ma un problema ancora più grande è che oggi sembra che questa idea sia accettata.
Trovo invece sempre molto utile un esempio celebre, proposto dallo psicologo ed economista Herbert A. Simon; il famoso aneddoto su due orologiai, Hora e Tempus.

I due artigiani costruivano orologi di pari complessità e bellezza, assemblando centinaia di pezzi; tuttavia, mentre il negozio di Hora ebbe successo, quello di Tempus fallì. Perché mai? Hora costruiva i suoi orologi modularmente, inserendo i vari componenti in insiemi gerarchici che potevano poi essere incastrati per completare il manufatto; Tempus, invece, si limitava a procedere pezzo per pezzo finché non aveva finito ogni singolo orologio.
Di tanto in tanto gli orologiai venivano interrotti da una telefonata di nuove ordinazioni e dovevano riprendere il lavoro dal punto in cui l’avevano lasciato. Tempus si ritrovava così a ricominciare più e più volte ogni orologio, mentre Hora salvaguardava gran parte del lavoro svolto. Il modo di procedere faceva la differenza: se gli orologiai venivano interrotti anche solo per l’1 per cento del tempo, Hora riusciva a completare nove orologi ogni dieci che tentava di realizzare, mentre Tempus ne terminava soltanto 44 per ogni milione.

Questo aneddoto è uno dei tanti che ricorda come un approccio modulare, l’essere flessibili, sia molto spesso il modo migliore per reagire a un cambiamento inaspettato e imprevedibile.

Mi piace terminare così, invitando a riflettere sulla distanza che esiste tra i libri e la realtà di tutti i giorni. Tra i miti americani e la sporca battaglia da combattere nel business quotidiano.

Con l’augurio che tutti passino da zero a uno. Ma soprattutto con la speranza che tutti sviluppino quelle alternative per non fare il percorso inverso: da uno a zero, finire nell’irrilevanza.

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