Cinquant’anni: l’età in cui non sai mai se sei troppo vecchio o troppo giovane

In Cambiamento
Scorri
Ok io ho cinquanta anni. E non comprendo se sono troppo vecchio o troppo giovane. Se da una parte mi dicono che devo fare spazio alle nuove generazioni ma dall’altra mi spostano in là il momento per uscire dal mercato del lavoro un po di confusione me la creano.

Allora, per capire cosa devo fare guardo le nuove generazioni per capire se ho e avrò un significato dal punto di vista professionale.
Il mio osservatore più comodo è mio figlio. Lui, adolescente mi fa notare spesso le pubblicità occulte che si nascondono tra le pieghe dei reality, dei telefilm, dei documentari.
Mi prende in giro dicendomi che è inutile che voglia sembrare giovane mettendomi i jeans o le t-shirt colorate. Tanto non funziona.

Lui è nato nel 2000 con altri 543.039 bambini italiani. Con un cellulare in una mano e un joystick nell’altra. Ha visto prima un computer di una bicicletta. Ha imparato a fare le presentazioni in powerpoint prima di sapere chi fosse Pascoli o Leopardi. Ha imparato ancora prima dei virtu cardinali che Homer Simpson dice come preghiera mattutina:

“Come gesto di gratitudine io ti faccio questa offerta di latte e biscotti. Se vuoi che li mangi per te non darmi alcun segno… Sia fatta la tua volontà. Amen”.

E ha sentito, sempre sui Simpson, il giornalistista Kent Brockman, definire una scuola di Springfield come un istituto «più corrotto del Parlamento italiano”, prima ancora di potere studiare un po’ di educazione civica. E questo lo ha sentito che io volessi o meno. Perché è impossibile isolare i figli dal resto del mondo, in una bolla sterile.
O perlomeno io non ci sono riuscito e non so nemmeno se avrei fatto bene.

Non sono qui a fare morale e moralismi su un mondo che io stesso ho contribuito a creare. Occorrerebbe una altra penna e molta riflessione.
Qui mi faccio solo una domanda professionale. Qualcuno che legge queste pagine e che sia over 35 anni pensa di essere pronto per vendere e lavorare assieme a queste nuove generazioni?

No, perché questi ragazzi, nati dopo il crollo del muro di Berlino, sono “geneticamente” diversi da noi, nati e cresciuti in un epoca di sostanziale fiducia e chiarezza di valore.
Bianco e nero. Fiducia. Risparmio e investimento. Sforzo e remunerazione.
Il gioco economico che noi conosciamo è una replica del gioco del monopoli.
Costruisci quattro case e poi metti su un albergo e fai pagare il transito.
Non è più così.

Le nuove generazioni non desiderano costruire.

E nemmeno avere un albergo.
Un po’ per scelta un po’ per costrizione.
Meglio affittare come aveva già anticipato Jeremy Rifkin nel 2000 con il suo saggio “L’era dell’accesso “.
Dove aveva previsto la perdita d’importanza del concetto di proprietà e il passaggio verso un’economia dominata da valori come la cultura, l’informazione e le relazioni.
Non necessariamente valori e relazioni migliori. Questo ognuno lo decide da sé.
Certo diverse.
Qualcuno mi sa dire cose pensa un ventenne di concetti come fedeltà, conoscenza, sacrificio, felicità ?
Il punto che vorrei fare qui però, è che non c’è verso di fare il proprio lavoro di venditori se non comprendendo il paradigma in cui si muove la tua nuova audience.
Non dico condividerlo, questo è probabilmente impossibile.
Troppe sciagure e delusioni e cinismo e tecnologia e velocità ci separano.
Ma rimane che dovremo studiare e rimanere in contatto con i nuovi interlocutori prima che decidano che noi non possiamo esserlo.
E’ vero anche che possiamo decidere di rivolgerci solo alle parti del mercato più anziane e, per ora più disponibili a comprare da persone anagraficamente alla pari ma, vista la congiuntura economica e la velocità con cui stanno cambiando prodotti, servizi e soprattutto gusti è una scelta pericolosa per chi vive di provvigioni o comunque di risultati.
Come dire che si è affacciato al mondo un mercato fatto di individui scaltri, svegli, vaccinati alle lusinghe di pubblicità, cravatte, orologi importanti, pratiche di PNL e sorrisi di plastica.
Capaci di scovare e mettere alla berlina ogni bugia, incongruenza, sgarbo verso la comunità.
In grado di vivere con poco e di preferire l’esperienza al prodotto fisico, l’emozione al consumo e al possesso.
Sfiduciati e sospettosi di chi era già adulto al tempo dei crack Parmalat e Enron o degli scandali di tangentopoli.
Arrabbiati perché sanno che la loro pensione la stiamo per succhiare noi.
Pensate che compreranno volentieri qualcosa da noi?
E’ un debito di fiducia che abbiamo accumulato, è un baratro di conoscenze ed esperienze che ci separa.
Meglio cominciare a studiare di nuovo.
E magari anche a farci vedere mentre ricostruiamo e ritorniamo un po’ di quello di cui abbiamo goduto.
Almeno per non dare ragione a Homer Simpson.

S:Z.

X

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi