Bilanci esistenziali e Mobili Ikea

In Graffi sull'anima
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Mi sento come un ragioniere in mezze maniche che spunta il conto profitti e perdite della sua esistenza.

Mi aggiro lungo i tornanti degli sbagli e dei rimorsi, salgo e scendo dai rimpianti delle scelte mai fatte, come si fa su un bus cittadino.
Mi interrogo confuso sulla destinazione e mi chiedo se mi sto capendo più di quanto non mi capissi ieri.
Metto in fila come soldatini gli incontri, le facce, le mani, i libri, gli scritti.
I cuori.
Ognuno gronda il sudore e il sangue di corse e dolori.
Ognuno spande risate e gemiti.
E io ci provo e ci riprovo a dare un senso.
La mia vita l’ho passata e la passo, per metà a viverla e per metà a capirla.
Ogni pezzetto ha un suo significato, ma nascosto, come un seme nel torsolo di una mela.
Lo trovi solo quando la mela l’hai tagliata, grattata, cotta, mangiata.
Altrimenti puoi solo immaginare che ci sia.
Ma non è in mano tua.
E mentre m’interrogo, spaesato e allampanato, come uno studente che si prepara agli esami, incontro una ragazza.
Lei conosce me molto più di quanto, purtroppo, io conosca lei.
“Caffè”?
Le chiedo.
“No grazie, come va? Risponde lei.
“Bene, grazie. Non vuole saperne di andare male”.
E lo dico sgomitolando un sorriso che vorrebbe scaldare la stanza.
“Fai quasi senso. Sei sempre così…”
“Così…?” Chiedo.
Mi spara addosso una palla di neve ghiacciata.
“Sai cosa? Sei costruito”.
E se ne va.
Bene.
Mi ci voleva.
Un alcoltest per la coscienza.
Sei costruito?
Non me lo ero mai chiesto.
Cosa vuol dire essere costruiti?
Come si fa a sapere se sei costruito?
Sono costruito?
L’alcoltest della mia coscienza segna che sono fuori standard.
Questo lo so.
Me ne sono accorto e me lo ricordano un sacco di persone, anche loro fuori standard.
Sono e siamo fuori standard, per questo ci scriviamo e ci leggiamo.
Nelle nottate spese a decifrare libri e siti web.
Nelle domeniche spese a studiare.
Nelle file in autostrada a riflettere sul senso di quei chilometri macinati per vedere, ascoltare, prendere nota, cancellare e riscrivere.
Nei sentieri di montagna e nelle strade di campagna a cercare un segno, un indizio, in mezzo a tutta quella fatica.
Nelle sere spese ad ascoltare chi parla così piano perché la voce l’ha spesa tutta in lacrime.
Me ne sono accorto che questo non è lo standard.
Quello standard che ti vuole carne da macello, tranquilla e pacata.
Ipocritamente cinica e smaliziata, insoddisfatta e preoccupata, ma seduta, in attesa della lama.
Lo standard che ti vuole solo per l’orifizio da cui farti ingollare qualche colorata manciata di costosi antidepressivi.
Perché a ridere e sentire ridere è facile.
Schernire chi non si rassegna è più tranquillizzante.
E’ più difficile trovare pace nel temporale, mentre ti fischia tra le orecchie il vento del malessere e del sentirsi sbagliato per definizione.
Allora decidi di costruirti per il meglio.
Che non si decide quando le pietre ti rotolano addosso, ma puoi decidere come affrontarle e con che serenità.
Che quando non costruisci tu, qualcuno costruisce per te, armature di emozioni e di reazioni che mica sempre ti piaceranno.
Si, l’alcoltest della mia coscienza segna che sono decisamente costruito.
Quello che non segna è quando ho deciso di costruirmi.
Non segna l’ora del mio amore finito, del mio primo pugno sul naso, della prima volta che un professore mi ha cacciato lanciandomi il libretto, della prima volta che ho visto un hospice, della prima volta che ho visto mio padre piangere, della prima volta che ho dovuto telefonare a un amico che aveva perso il lavoro, della prima volta che ho incontrato i bambini di una mamma che ha dovuto traslocare da questo mondo e di quelli che traslocano ogni fine settimana.
Non le segna queste date.
Magari segna tutte le cose andate bene.
Quelle per cui avere sudato un po’ per capire che il mondo è fatto anche di buche profonde come il nero di seppia non serve.
Ma serve, invece, sapere risalire lungo pareti lisce e sdrucciolevoli come pelle di un pesce.
E lì servono i ramponi della tua maturità di donna o uomo che sono venuti al mondo per qualcosa di più che non pascolare tranquilli.
Vedi, amica mia, è in questi momenti, che ho deciso di costruirmi.
Perché è in questi momenti che ho capito che l’unico modo per fare fronte all’unica sfida per cui siamo qui è costruirsi.
Con quello che si ha e che si trova, adesso.
E’ quello che ci rende umani a dispetto delle regole sociali di consumo e di nuovi paradigmi artificiali che scambiano il paradiso con il centro commerciale.
Non per ridere sempre, ma per sapere che alla fine puoi andartene con il sorriso di chi ci ha provato in tutti i modi, questo si.
Sapere che almeno hai tentato di rimanere dritto sulla schiena.

Che veniamo al mondo con tutti i componenti che servono.
Ma la costruzione è a carico nostro.
Come all’Ikea.
Solo che si scherza meno”.

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