Bianco, nero e convergenze (il futuro che è già qui)

In Approfondimenti, La Grande differenza
Scorri

Come sempre con il nuovo anno a molti viene la voglia di diventare futurologi e fare previsioni. Alcuni sono pagati per farlo.  Qualcuno alla fine ci azzecca ma, la maggior parte dei casi, si tratta di ipotesi basate su premesse ancora troppo deboli e vaghe per diventare realtà a breve.

Poi è anche vero il contrario. Per tanta gente è forte la tentazione di infilare la testa sotto la sabbia, chiudersi nel qui ed ora – concetto zen potente ma ormai usato in modo molto superficiale.  Specie in un periodo così complesso e spossante come quello che stiamo vivendo, viene voglia di ricordare e credere a quanto diceva sogghignando Keynes: “Lungo termine? Nel lungo termine saremo tutti morti”.

Eppure, come umani, prima ancora che in quanto donne e uomini di business, dovremmo almeno provarci. Tentare di capire dove stiamo andando. Afferrare la quali siano i rischi e le opportunitàComprendere come proteggerci e cogliere le nuove occasioni. Un buon consiglio in questi casi è quello proposto nel lontano 1985 da Peter Drucker nel suo libro Innovazione e imprenditorialità. L’importante, diceva Drucker, è identificare “il futuro che è già qui” e sviluppare una metodologia per percepire e analizzare questi cambiamenti. Un consiglio che concretamente traduce in due precisi passaggi:

  1. identificare i trend che si sono già manifestati, 
  2. assegnare pesi in termini di impatto e longevità sulla propria vita e organizzazione. 

Farlo non è facile e nemmeno garanzia di successo ma è un ottimo modo per iniziare. Proviamo.

Pre e post covid: the next normal

Se c’è una cosa che la storia ci ha insegnato è che indietro non si torna. Mai. Più che un ritorno alla normalità ci aspetta un mondo nuovo i cui confini non ancora del tutto nitidi sono però già abbozzati. È quel futuro che è già qui di cui parlavamo.

Come le altre grandi crisi, anche questa segnerà un modo nuovo di fare le cose. Dal modo in cui acquistiamo a cosa acquistiamo. Dalle priorità da mettere in agenda fino al modo in cui pensiamo alle nostre vite. 

Gli effetti della pandemia nel mondo del lavoro sono già abbastanza delineati. Un’indagine condotta da McKinsey ha rilevato che le aziende sono tre volte più propense rispetto a prima della crisi a condurre digitalmente almeno l’80% delle interazioni con i clienti. È impossibile fingere che non sia successo ed impraticabile il tornare indietro.

È l’ennesima rottura degli equilibri. Qualcuno riuscirà a cogliere nuove possibilità e altri invece rimarranno indietro. Proprio come quella classe di “inutili” di cui scrive Yuval Harari Noha citando come esempio i cavalli (e non i cocchieri) che con la rivoluzione industriale sparirono dal mondo del lavoro con l’avvento del motore a scoppio.

Molti potrebbero non condividere il destino dei conducenti di carrozze del XIX secolo – che passarono a guidare i taxi – ma bensì quello dei cavalli del XIX secolo, che furono gradualmente espulsi dal mercato del lavoro.

Yuval Noah Harari

La domanda, quindi, è relativa ad essere o non essere il cavallo quando i mezzi di locomozione cambiano radicalmente. È la natura del cambiamento: risolve i problemi di alcuni, fa venire il mal di testa ad altri.

Incertezza, rischio e volatilità e flessibilità

L’altro giorno un amico mi faceva notare come alcuni dei termini su cui ho insistito negli ultimi anni siano ormai parole chiave di questo mercato. Ho risposto melanconico che sarà una questione di età: sto invecchiando, inizio a dire sempre le stesse cose e alla fine capita che qualcuna la si azzecca.

L’età e l’esperienza mi spinge anche a sentire forte la necessità di avere sempre alternative e di sbarazzarsi di formule, idee e scelte troppo rigide per trovarmi bene in una società mutabile, capricciosa, veloce.

Credo che la pandemia abbia insegnato anche ai più scettici, e ai più ottimisti, che l’audacia debba sempre essere sostenuta da adeguati piani B ed “exit strategy” e credo anche che chi si ostina a fare il superuomo e suggerisce alla gente di non praticare la differenziazione delle fonti di sostentamento lo faccia solo perché ha le spalle ben coperte. Questo vale nella vita degli individui come in quella delle organizzazioni.

Citando ancora una volta Drucker, che questi discorsi li teneva negli anni ’80, bisogna rompere una volta per tutte con le narrazioni romanzate e pornografiche dell’imprenditore visionario – o del leader o manager visionario – e sostituirle con una buona dose di pragmatismo. I bravi imprenditori, così come i manager, sosteneva Drucker, hanno tutti una e una sola caratteristica in comune: non sono orientati al rischio ma alla gestione e manutenzione, alla crescita organica per coprire la deriva dei costi.

No adolescenziali rivoluzioni quanto piuttosto guardiani di una matura evoluzione. Cercano di definire preventivamente i rischi che si devono assumere, e per quanto possibile di minimizzarli. Non sono orientati al pericolo, sono orientati alle opportunità e nel contempo a mettere in sicurezza il sistema.

Abbracciare il cambiamento e la “prossima normalità” imporrà di fare cose nuove e prendere strade nuove, assumersi rischi ma stare alla larga dalle catastrofi. O, almeno, prepararsi.

Le storie degli imprenditori che spaccano tutto, bruciano le navi e i ponti alle spalle, scommettono tutto sul numero 27 rosso della roulette sono racconti buoni per imbonire una aula e far passare il tempo o vendere qualche partecipazione ad una start-up ma non sono ciò che ai più, alla gente normale paga la badante una volta anziano e nemmeno la retta scolastica dei figli.

Credo sia il caso vaccinarsi da questo virus narrativo oltre che per il covid19.

“Non potete prevedere una catastrofe, ma potete costruire un’organizzazione pronta alla battaglia, dal morale elevato, che sa come agire, che crede in sé stessa e i cui membri si fidano l’uno dell’altro. “

Peter Drucker 

Smart Working, nuove dinamiche di lavoro, una nuova leadership

Il lavoro da remoto, lo smart working che tanto ha caratterizzato questo anno e dominato il mondo aziendale è qui per restare. Ha significato e significherà un nuovo modo di fare le cose, maggiore produttività probabilmente, un nuovo concetto di città e metropoli, rapporto tra casa e zona di lavoro. E darà anche il via a una nuova forma di leadership.

Per prima cosa apparirà evidente la necessità del passaggio dal controllo alla fiducia, dalla supervisione alla verifica dei risultati. Se ne parla da anni e in molti lo auspicavano, questo è il momento. Se davvero piacerà a tutti è da discutere.

Ma non solo. Bisognerà confrontarsi con dinamiche di aggregazione, confronto e lavoro tra individui e in team completamente diverse rispetto al passato.

Maggiori responsabilità per tutti, diversi livelli di responsabilità: leader ma anche e soprattutto necessità di adeguati e consapevoli follower. “Followership” sarà una delle parole che probabilmente tornerà nei discorsi di questo 2021 e in futuro.

Followership” è una parola inglese che non ha un corrispettivo in italiano. Il “follower” è colui che segue un leader, si potrebbe tradurre con seguace o adepto, dipende dalla circostanza. Dunque “followership” in italiano potrebbe essere identificato come il “proselitismo” e quindi il processo messo in atto dai follower quando ascoltano i dettami di un leader. Sono i follower che rendono il leader un leader, come nota acutamente Derek Sivers.

Ci sarà cioè bisogno di gente in gamba che sappia seguire e a sua volta dare l’esempio. Di ruoli che cambiano in modo dinamico e secondo le esigenze. Ci sarà bisogno sempre meno di Ego, o per dirla con il mio amico Leonardo Milani ci sarà bisogno di applicare il mantra che contraddistingue la Pattuglia Acrobatica Nazionale Italiana delle Frecce Tricolori: “Ego Zero”.  

Ci sarà bisogno di essere creativi, visionari ma avere anche una mentalità da “idraulico”: sempre con una cassetta degli attrezzi a portata di mano e la voglia e capacità di risolvere in autonomia i problemi. Non perché non dovrebbero essere risolti dall’altro ma perché il più delle volte l’alto non saprà che pesci prendere.

La leadership presenterà ancora i tratti storici che ci portiamo dagli albori della storia: il coraggio, la generosità, l’assertività, la visione.

Ma servirà integrare altre competenze, come ha di recente evidenziato Boston Group.

  1. Essere a proprio agio con l’incertezza e con informazioni imperfette. 
  2. Saper entrare in empatia e farlo anche a distanza. 
  3. Sapersi “correggere” da soli e saper tornare sui propri passi. 
  4. Abbandonare ogni logica di gioco conflittuale e a somma zero.

Squadre pronte a vincere l’inverno

Ancora non è finita ma è lecito aspettarsi che le grandi difficoltà arrivino proprio ora. La storia ci dice che dopo ogni crisi c’è una ripartenza, acquisti spinti dall’entusiasmo e dalla rinnovata fiducia. Ma il Covid19 ha segnato davvero in profondità le nostre vite e le nostre imprese ed è probabile ci vorrà molto tempo prima di ripartire.

Servirà spirito di sacrificio, ridimensionare a volte gli obiettivi, godersi piccoli traguardi. Abbracciare una logica da intanto mi occupo “dei miei tre metri e dei miei tre giorni” e allo stesso tempo ipotizzare il futuro, come si dice, pensare da stratega ma saper agire da primitivi.

In azienda sarà necessario abbandonare i favolistici e moralistici racconti sui team come famiglie e passare a situazioni vere, solide  e solidaristiche. Servono e serviranno team come squadre di professionisti, in cui dando per scontato il rispetto, si chiederanno sempre più risultati.

Meglio saperlo e attrezzarsi. La disciplina costa.

Conoscenze e competenze

Complice anche l’accelerata digitalizzazione, entriamo definitivamente, salvo disastri planetari, in un’economia della iper-conoscenza. Nella società e nelle organizzazioni di oggi, le persone usano sempre più le conoscenze, anziché le abilità. Conoscenze e abilità si differenziano per una caratteristica fondamentale: le abilità si modificano molto, molto lentamente. La conoscenza, invece, si modifica da sé. Si rende obsoleta, e lo fa molto rapidamente.

Ci toccherà tenerne conto e avere la capacità e l’ossessione di disimparare e reinventarsi continuamente tenuto conto però che come osserva Raffaele Alberto Ventura nel suo libro “Radical choc”, complici i meccanismi della globalizzazione e delle nuove tecnologie che rendono complessi i fenomeni sociali, politici ed economici la competenza produce sempre meno risultati ed è al contempo sempre più specialistica.

Questo significherà molta confusione e la tentazione a semplificare con idee radicali bianche o nere qualsiasi settore.

Significherà la nascita di leader, imprenditori, manager, politici che affermano e proporranno soluzioni semplicistiche qualsiasi problema.

Il mio consiglio rimane quello di diventare bravi nella mediazione e continuare ad ampliare il proprio portafoglio di conoscenze per poter fungere da connettori. Materiale umano che diventerà raro.

Sostenibilità

Sarà probabilmente un anno e un futuro alla ricerca della sostenibilità. La pandemia ha presentato il conto e fatto emergere le magagne. In un mondo che brucia, è necessario, come ha scritto Rebecca Henderson. E’ probabile che per la sopravvivenza del pianeta e per la nostra il sistema capitalista vada ripensato.

Fondare, dirigere, gestire una azienda, sciabolare a destra e a manca per produrre profitto e fare contenti gli stakeholder e allo stesso tempo riuscire a fare del bene al mondo e all’umanità, allineare la missione aziendale con la lotta ai mali sociali, fare convivere asimmetria informativa e onestà e trasparenza.

Milton Friedman, affermò che esiste una sola e una sola responsabilità sociale delle imprese: utilizzare le proprie risorse e impegnarsi in attività progettate per aumentare i propri profitti e questo ha portato ad un mono-pensiero ortodosso che professa il credo che altre forme di mercato non siano possibili.

La crescita economica nelle società con forti istituzioni inclusive è più coerente e le società inclusive sono significativamente più prospere delle società che non lo sono scrive la Henderson nel tentativo, a mio parere convincente, di dimostrare che bene per tutti è bene anche per l’individuo. Le istituzioni inclusive sono una determinante chiave anche del benessere del singolo è il messaggio.

Ma fare affari e cambiare il mondo ha la necessità di accettare e superare un paradosso.

“Lasciarsi guidare dalle proprie motivazioni può essere un’ottima strategia economica, ma non si può decidere di essere sinceri solo per fare affari. Non sarebbe sincero. Dedicarsi in maniera autentica a un obiettivo significa esplorare il confine tra scopo e profitto, scegliere di fare la cosa giusta e poi trovare il ritorno economico che può renderlo possibile”.

“Come posso fare la mia parte? Pensare che solo gli eroi (e le eroine!) possano cambiare il mondo è una trappola nella quale è facile cadere”.

E’ il momento di muoversi anche in questo senso con buone, meditate e mediate scelte personali e collettive.

Aziende (e lavoratori) bioniche

L’azienda del futuro sarà bionica – the Bionic company – utilizzando una definizione coniata da Boston Consulting. Aziende che combinando i punti di forza degli esseri umani e della tecnologia, sapranno dare vita a capacità sovrumane, bioniche.

Ai leader di queste aziende sarà richiesto di ripensare l’arte del possibile, devono passare dalla gestione all’abilitazione, devono sfruttare tutta la potenza della tecnologia e devono tradurre lo scopo in azione.

Amleto aveva torto

Un buon motto per il 2021 e per il futuro potrebbe essere: “Amleto aveva torto”. È un consiglio di cui scrive spesso Malcolm Gladwell e che deve a un suo mentore: Albert O. Hirschmann.

Hirschmann, un leggendario economista e uno dei più grandi pensatori del XX secolo, visse la sua vita secondo questo principio guida: “Amleto aveva torto”. Amleto è il classico caso di qualcuno che ha pensato troppo e ha fatto troppo poco. Ha pianificato e complottato, ma la sua incapacità di prendere una decisione e agire non solo ha tormentato i suoi giorni, ma gli è costata la vita.  

Secondo Hirschmann l’incertezza del futuro non dovrebbe congelarci, ma piuttosto liberarci. Questo perché l’unica cosa che saremo mai in grado di prevedere sul futuro con un certo livello di certezza è che continuerà ad essere altamente incerto.

Naturalmente, l’idea che gran parte della vita sia fuori dal nostro controllo può essere terrificante. Come esseri umani, il nostro cervello è cablato per la sicurezza. Ma se abbiamo imparato qualcosa da quando il COVID19 è entrato in scena, è che non abbiamo idea di cosa accadrà domani, quindi potremmo anche impegnarci molto in ciò che vogliamo fare oggi.

Questo non significa andare incontro ai rischi a cuor leggero o lasciarsi alla mercé degli eventi.

Ma adottare invece, in partenza, una mentalità flessibile.

Una mentalità che, tenendo conto dell’incertezza che contraddistingue le nostre vite, si caratterizza dal principio “Strong opinions weakly held” di cui Paul Saffo è da tempo uno dei più convinti sostenitori. La sua proposta mi sembra convincente e molto adatta ai tempi.

Saffo spiega che il modo più veloce per una previsione efficace è spesso attraverso una sequenza di previsioni scadenti. Invece di trattenere il giudizio fino al completamento di una ricerca esaustiva dei dati, ci si costringe a fare una previsione provvisoria sulla base delle informazioni disponibili, per poi smontarla sistematicamente, utilizzando le conoscenze acquisite per guidare la  ricerca di ulteriori indicatori e informazioni. Ripetendo il processo alcune volte ed è sorprendente la rapidità con cui si può arrivare a una previsione utile.”

Dire e dirci che Amleto aveva torto significa dunque fuggire da un pensiero che ci blocca ma anche e soprattutto smettere di  dividere tutto radicalmente in bianco o nero, essere o non essere, giusto o sbagliato. 

La radicalizzazione è il processo mediante il quale un individuo o un gruppo arriva ad adottare visioni sempre più estreme in opposizione a uno status quo tutto questo può sfociare in azioni violente. Lo stiamo vedendo.

Abbandonare il gioco della polarizzazione e iniziare quello delle convergenze. 

Abbracciare una mentalità e un ragionamento, verso noi stessi e gli altri, finalmente non dogmatico.

Convergere non divergere.

Mediare non dividere.

Risolvere non dissolvere.

Costruire non abbattere.

Ecco una direzione sensata e costruttiva per iniziare a fare i conti con il futuro.

Rivalutare, re-imparare, evolvere la capacità di ottenere soluzioni di compromesso.

Diventare esperti di negoziazione per concordare su questioni di reciproco interesse ottimizzando la loro utilità individuale.

Avvicinarsi e lavorare per trovare la distanza giusta tra porcospini individuali e organizzativi che necessitano di accomodarsi vicino per scaldarsi e che si sforzano di trovare la distanza giusta per non ferirsi l’un l’altro per usare la metafora di Schopenauer.

È un capitolo nuovo da scrivere per molti di noi abituati a corse solitarie e senza controllori e compagni di viaggio ma un capitolo che non si sceglie.

È lui che ha scelto noi.

X

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi